DONOTS: The long way home

 

Uno dei miei ultimi ricordi legati a questa band tedesca èdatato 2003, Arena Parco Nord di Bologna, Deconstruction tour. Una buonapunk-rock band affiancata ad alcuni mostri sacri del genere, leggesi NOFX, BoySets Fire, T.S.O.L., The Bouncing Souls e Strung Out.

 Sono passati 7 anni e nel frattempo questa band ha riscossonumeroso successo in patria grazie alla pubblicazione di 8 album ed entrandoper 3 volte nella top 20 dei dischi venduti in Germania (cosa da nonsottovalutare per una band punk-rock).

Ora tornano alla ribalta nel nostro paese grazie ai ragazzidi CHORUS OF ONE che hanno puntato forte su questo “The long wayhome”. E mai scelta poteva essere più felice.

Cosa dire. Partiamo con il sottolineare che questi ragazzihanno messo in campo tutti i loro 15 anni di esperienza per dare vita ad undisco come questo. Ampio, eterogeneo, melodico, pop, brit ma lontano dalsembrare un minestrone senza senso. Un disco che ascolteresti a ripetizione.Sottofondo piacevole di una uggiosa giornata autunnale.

Parte lento, parlato, addirittura con delle basi di synth (“Calling” e “Forever ends today” mi ricordano piacevolmente i romani JerseyLine).

Poi si arriva ad “High and dry” e tutto torna piùchiaro. Un classico pezzo punk-rock melodico, di quelli che mi piacciono forte.Che ti fanno ricordare una band più che un’altra.

Una ballata come “Let it go” mi porta alla mente iGoo Goo Dolls (si quelli di “Iris”) ma dietro l’angolo c’è subito”Dead man walking” dove la voce del chitarrista Guido ci riporta suibinari più classici del punk-rock bostoniano…

“The years gone by” si accende con un piacevoleintramezzo di armonica, ciliegina sulla torta di in un brano acustico folk chesi addice perfettamente ad un testo introspettivo sui rimpianti di una vita.

 

Gli ultimi 6 brani sono delle bonus track e mostrano deilati oscuri e nascosti di questa band.

“Break my stride” è arrogante, presuntuosa, come ibrani più rock dell’ultimo dei My Chemical Romance ma per questo piena dipersonalità e cammina a braccietto al hard-rock scandinavo di”Headphones”.

 

17 brani per 58 minuti, quasi un’ora di ottima musica.Niente da obbiettare. Solo applausi.

Dopo 3 lustri non è da tutti avere ancora l’energia e lavoglia di autoprodursi un disco.

Un album per chi crede nell’evoluzione costante!

Voto: 7½/10

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