PUNK ROCK HOLIDAY 2018 – LIVE DIARY GIORNO ZERO: UNION 13 – DOG EAT DOG – HAPPY OL’ MCWEASEL – THEVANDALS


Piccola introduzione: le band di cui non parlo nella recensione è perchè non le ho viste per un motivo o per l’altro, come ogni anno mi beccherò delle critiche per essermi perso questa o quella band, ma come ripeto: non ho piu’ 20 anni da 20 anni, quindi i festival me li vivo secondo le mie possibilità fisiche e i miei gusti personali.
La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo la line-up del giorno zero quest’anno è stata: Union13…dove li ho già sentiti? La risposta è: sulla prima uscita delle storiche compilation “Give em the boots” della Hellcat. Gli Union13 sono quelli che facevano “Roots Radicals” in spagnolo. A parte questo non ho piu’ sentito niente da loro fino ad oggi. Parliamo di 21 anni.
Gli Union13 fanno un hardcore-punk molto incazzoso e aggressivo, con qualche inserto metal qua e la, cantato in spagnolo…un po’ “vecchio” come suono (i Kenneths l’anno scorso, all’interno dello stesso genere erano risultati molto piu’ “freschi”). Chiudono il loro concerto con, appunto, la cover di “Roots radicals”, attesa un po’ da tutti, che ovviamente scatena il casino.

I Dog Eat Dog sono una band a cui sono emotivamente legato perchè il primo stage diving della mia vita l’ho fatto durante il loro concerto all’interno del Sonoria Festival del 1996…e come sappiamo tutti, il primo stage diving non si scorda mai. Li rividi l’anno dopo per il tour di “Play Games” e poi piu’ niente fino ad oggi. Il grosso dei pezzi è preso dai primi due dischi, quelli di maggior successo: “All boro kings” e “Play games“, e il loro mix di rap, rock e punk suonato in maniera supercoinvolgente e ricercando continuamente il contatto col pubblico, ci mette poco a creare del gran casino. C’è questa cosa stilistica che non capisco, fra una canzone e l’altra partono delle basi su cui il cantante John Connor rappa, introduce il pezzo dopo o interagisce col pubblico…io non la capisco ma funziona, quindi bene.

Vincitori del primo giorno ex aequo con:
Happy ol’ McWeasel. Non li conoscevo, se non qualche pezzo qua e la sentito su youtube per curiosità, e devo dire che hanno letteralmente spaccato…mi hanno ricordato dei Gogol Bordello piu’ country-punk e meno zingari, però l’attitudine al casino è la stessa. Vorrei approfondire e poi rivederli.
Durante il loro set mi ricordo che i Mad Caddies fanno un set acustico allo stand della American Socks, preso dalla curiosità vado a vedere. Ecco, immaginate di far suonare i Nofx al baretto sotto casa vostra: palchetto minuscolo (giusto per 2/3 persone con strumenti acustici), poco spazio davanti TOTALMENTE PIENO di gente che segue il concerto bloccando la principale via di accesso al main stage. Genialata organizzativa, ma va bene.
I Vandals…da dove inizio? Non credo serva presentarli qui su Punkadeka, sappiamo tutti cos’erano a fine anni ’90, ci ricordiamo tutti la polemica per le loro esibizioni di supporto alle truppe in Iraq. Personalmente allora fui tra quelli che li sfancularono, oggi non so…sono così contento di vedere un pezzo importante della mia gioventu’ che onestamente, non sono piu’ così radicale nella mia opinione a riguardo.
ERO contento di vederli…tempo 5 minuti mi sono già scesi. Warren scazza l’assolo della iniziale “It’s a fact”, i suoi compagni con grande professionalità la portano in fondo, ma lui mette su sta scena da finta rockstar isterica che vuole rifare assolo e fine della canzone. A me non ha fatto ridere. Da li nn so, per un po’ il concerto mi ha lasciato l’amaro in bocca. Come rivedere un amico dopo tanti anni e rendersi conto che è sempre il solito cazzone, ma non fa piu’ ridere. Forse sono invecchiato io, ma boh…il concerto dei Dog Eat Dog era lo show di una band che si stava sinceramente divertendo e trasmetteva entusiasmo e gioia di essere li. Il concerto dei Vandals sembrava il concerto di quattro impiegati che dovevano portare a casa la paga. Intendiamoci “Live fast…diarrhea” è ancora un grande album, “Hitler bad, Vandals good” è ancora un grande album, ma fino a “Oi to the world!” il concerto si trascina stanco, pochissima interazione col pubblico, non molto entusiasmo da entrambe le parti. Con “Oi to the world!” fortunatamente la storia cambia, e verso la fine il concerto prende quota, la gente ricomincia a spaccarsi e a interagire e la serata è salva.

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