THE HORRORS: Vent

Altra recente uscita assai felice della In The Red Records questo Vent, secondo lavoro di The Horrors, originari di Cedar Rapids, Iowa.Si tratta di un trio prodotto da Greg Cartwright, uno dei fondatori dei fondamentali ed indimenticati ( come potrebbe essere altrimenti ?) Oblivians, ora nei Reigning Sound sempre nella scuderia In The Red di Larry Hardy.Queste misere coordinate possono già però essere illuminanti dell’estetica musicale degli Horrors.Esattamente come gli Oblivians, Paul Cary (vocals/guitar), Andrew Joseph Caffrey (guitar/piano) e Jamie Mclees (drums) nei tredici brani di Vent prendono le dodici battute immortali del blues, la naiveté di certo rock&roll e rockabilly e sfregiano (non riesco a trovare verbo più calzante) il tutto con quel furore bianco al vetriolo denso di frustrazione / esasperazione, frutto dell’esistenza in una piccola ed ottusa provincia americana : il risultato puzza lontano un miglio di garage e bassa fedeltà.Immagino non sarà la prima volta che leggete queste parole che però restano le più efficaci per raccontare come nasce una musica di tal fatta, così come non certo inedita è l’operazione di Vent, nei cui solchi si sente la mano pesante della produzione dell’ex-Oblivian, sino a farmi pensare seriamente parafrasando il titolo del disco che il trio potrebbe colmare, anzi lo sta già facendo, il buco artistico lasciato da Eric, Jack e Greg.L’impatto malato e selvaggio, l’impasto caotico delle due chitarre senza la copertura di basso di songs come Swoop down, Sooner or later, When i get home, Three scale burden, Block of wood, Hope’s blues, nei quali il blues si sente maggiormente, ci riporta diritti ai capolavori di grezza incontaminata bassa fedeltà degli Oblivians.Non c’è da temere comunque: non siamo di fronte solo a dei cloni devoti; di diverso dalla sua il cantante Paul Cary ha una conturbante sciatteria ed un approccio primitivo che viene fuori alla grande negli assalti garage noisy mozzafiato di Karen e Chain Reaction ed una drammaticità interpretativa che caratterizza la finale My heart can’t hold water, un tunnel sonico lento, cupo ed opprimente di quasi otto minuti nel quale The Horrors passano plasticamente da toni intimisti ad una lacerazione interiore ed esecutiva estrema. Un brano notevolissimo per il quale mi sento senza indugi di scomodare la definizione di capolavoro dark-blues.Dimenticavo: metà album è stato registrato da Mike McHugh at The Distillery, lo stesso studio nel quale ha visto la luce nel ’97 l’incredibile Right On Sound dei Countdowns ; anche per questo The Horrors e Vent di diritto fanno già parte della piccola storia di una grande ‘altra’ musica americana.

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