YELLOWCARD

Milano, Rolling Stone ore 20.00. Per il momento il locale non si presenta molto affollato, prevalgono per la maggiore visi puliti e giovanissimi…d’altronde, è risaputo, sono sempre i fans più in erba a sostenere con affiatamento le proprie bands preferite.

Inoltre è lo stesso genere musicale ad attirare un così alto numero di adolescenti, giustifico così la scarsità di presenze e, nonostante tutto è ancora presto per tirare conclusioni.

Ore 20.45. A scaldare la serata ci pensano i Bradford, il quartetto lombardo che con la loro comparsa scatenano un moderato pogo sulle note di un punk-rock melodico e scanzonato, con coretti allegri e molto orecchiabili. Intrattengono per una buona mezz’ora il pubblico, che nel frattempo è aumentato, e anche parecchio!

Ore 21.30 il Rolling Stone è pieno. Appaiono i tanto attesi Yellowcard, attaccando subito con la titletrack ‘Lights and Sounds’ e questa volta il pogo è consistente, il pubblico  elettrico, tutti cantano a gran voce e gli stagediving non tardano ad apparire qua e là tra la folla.

Scorrono così i pezzi più punkeggianti come ‘Way Away’, ‘Avondale’ fino ad arrivare a ‘Only One’, pezzo durante il quale, purtroppo il frontman del quintetto di Jacksonville ha qualche scaramuccia con un microfono che funziona ad intermittenza e si trova costretto ad ulizzare quello del violinista (nonché seconda voce) Sean Mackin…

Comunque il piccolo incidente si risolve in fretta, tra i sorrisi divertiti di un pubblico comprensivo e ancora carico di adrenalina.

Molto apprezzata dalla sottoscritta la cover degli Weezer ‘Say it ain’t so’, riproposta in modo impeccabile, grazie alle spiccate doti canore del cantante e alla perfetta tecnica di tutti i membri della band che, live, rende parecchio bene senza deludere chi li ha apprezzati dapprima solo su cd.

Anche il batterista Longinaeu Parsons III ha il suo momento di gloria sfoggiando un assolo di batteria durato diversi minuti all’interno del brano ‘Breething’ in cui è lui il vero protagonista sul palco.

Ma, soprattutto, la punta di diamante degli Yellowcard è senza dubbio alcuno Sean Mckin, che maneggia per tutto il concerto il suo violino con grazia e grinta allo stesso tempo, estrapolando suoni puliti e decisi che si sposano perfettamente con l’energia della batteria e della chitarra elettrica.

Ciliegina sulla torta.. come pezzo finale del concerto ci riservano ‘Ocean Avenue’, la perla che li ha  resi definitivamente famosi. Così tra applausi e sguardi compiaciuti la serata scivola via allegra e leggera, lasciando tra i presenti piena soddisfazione sommata alla certezza che i giovanissimi Yellowcard di talento ne hanno da vendere.

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