PUNKADEKA FESTIVAL 25th Anniversary

YELLOWCARD

Come si fa a fare i conti con la fama, soprattutto quando questa ti prende, diciamolo pure, di sopresa a vent’anni? Nessuno lo ha ancora scoperto con certezza, ma un buon inizio è certamente fare quattro chiacchiere con gli Yellowcard.

Come si fa a fare i conti con la fama, soprattutto quando questa ti prende, diciamolo pure, di sopresa a vent’anni? Nessuno lo ha ancora scoperto con certezza, ma un buon inizio è certamente fare quattro chiacchiere con gli Yellowcard.

Dopo una scappata a TRL -dicevamo della fama…- e una veloce ritirata al Rolling Stones ecco l’incontro tra Peter Mosely ed il sottoscritto. Un po’ annoiato del rituale-intervista ma sincero, senza patetici atteggiamenti divistici e con anche senso dell’umorismo: eccovi il resoconto.

Innanzitutto parlaci di come sta andando questo tour europeo…

Non trovo altre parole che non bellissimo. E’ la prima volta che siamo fuori da contesti di festival e siamo un po’ più sicuri, non dovendo dipendere da nessun altro. Le date precedenti sono andate davvero bene, anche se è solo il quarto show dopo quelli di Monaco, Amburgo e Parigi. Sono le nostre prime date da headliners e si sono rivelate fantastiche, anche la risposta del pubblico è stata sorprendente. Non vedevamo l’ora di tornare in Europa, e finora non ne siamo rimasti per niente delusi!

 

Ci sono però anche aspetti più noiosi. É difficile per voi fare intervista dopo intervista e tutta la promozione di rito?

Non voglio mentire: è pesante. Sedersi ed intrattenere una conversazione con qualcuno è sempre piacevole, e aver la possibilità di parlare con gente di altri paesi e culture è un’esperienza che serve anche ad aprirti la mente. Però quando devi farne cinque in un giorno, e ad ognuna di queste ti vengono rivolte le stesse domande, allora diventa pesante. Sai, certe interviste finiscono per essere delle conversazioni abbastanza informali, e questo è il modo che preferisco, ma quando capitano quelle noiose ti viene da pensare "ehi, questo non è quello che faccio, non sono una macchina da interviste, sono un musicista!". Bisogna prenderla come viene, almeno ti eserciti anche con la tua pazienza (risate, ndr).

 

Visto che siamo in tema di aspetti negativi dicci allora qual’è l’aspetto più noioso che c’è nel far parte degli Yellowcard…

Gran parte di questo lavoro è sbrigarsi, andare di fretta, per poi dover aspettare; magari hai a disposizione 45 minuti per il soundcheck e poi hai tre ore in cui non sai cosa fare. Tenti di schiacciare un pisolino ed invece ti urlano "no no, adesso c’è il soundcheck". Ci sono un sacco di tira e molla, "vieni qui, vai là", ed è in questi momenti che inizi a domandarti per quale scopo ti sei svegliato alle otto quella mattina. In conclusione: nessuna parte di questo lavoro è realmente noiosa, solo che spesso ci sono dei momenti di confusione e di stress.

Immagino che le cose siano peggiorate da "Ocean Avenue" fino al recente "Lights And Sounds", anche per quanto riguarda le aspettative su di voi, no?

Appena pubblicato "Ocean Avenue" nessuno poteva sapere chi eravamo e che cosa avremmo fatto, non si sapeva che gli Yellowcard erano una band, mentre ora tutti sanno che c’è un gruppo che si chiama così in uscita col nuovo lavoro. Non abbiamo fatto praticamente alcun tipo di promozione, se escludi qualche concerto o le poche interviste che ci richiedevano, mentre adesso tutti sembrano interessarsi a noi e alla nostra musica. E’ molto appagante, ma ti assicuro che non ne siamo decisamente abituati. E’ chiaro che ci piace parlare della nostra musica, ma non vogliamo farlo sempre e con chiunque; rischiamo di snaturare la cosa e di divertirci meno.

Questo disco si discosta parecchio dal vostro esordio; ci sono state molte influenze o è stato solo il classico processo di maturazione compositiva?

Sarà anche scontato dirlo, ma siamo maturati come gruppo, del resto sono passati quattro anni dalla stesura di "Ocean Avenue". Sai, durante tutti questi anni assieme ci siamo evoluti come musicisti e siamo migliorati anche come compositori.

Non abbiamo fatto altro che affrontare il mondo con più esperienza raccontando le nostre sensazioni: in un certo senso abbiamo dovuto muoverci in fretta, siamo cresciuti molto velocemente e in una maniera piuttosto atipica. E’ davvero strano quando ci paragonano ad altre band perchè non è che ti siedi e decidi come scrivere una canzone. Certamente amiamo i Death Cab For Cutie, ma non è che ci mettiamo lì ad emularli; capita semplicemente che questa cosa si riveli spontaneamente in un bridge che ha un certo tipo di melodia dolcissima piuttosto che in qualche arrangiamento. I Death Cab sono una delle bands più vicine al nostro sound di oggi perchè con loro siamo cresciuti e abbiamo sempre fatto riferimento.

Anche il ruolo del violino è cresciuto, si è amalgamato col resto dell’organico…

Si, verissimo. In "Lights And Sounds" il violino è usato con una maggiore varietà rispetto al passato, e questa sensazione di grandiosità era quello che volevamo dimostrare. Volevamo enfatizzare il suo uso nella famiglia delle corde quasi fosse una terza chitarra. Inoltre Sean è molto bravo a dirigere un’orchestra e a comporre musica autonomamente perciò volevamo dare risalto al suo talento. Per certi brani abbiamo lasciato che lui disegnasse il filo conduttore e poi noi abbiamo ideato i motivi degli altri strumenti. Questa volta è stato quasi come avere un direttore d’orchestra piuttosto che un violinista.

 

Mi hai preceduto. Raccontaci: com’è stato collaborare con un’orchestra di venticinque elementi su “How I Go”?

Siamo soddisfattissimi e l’esperimento, a nostro parere, è venuto davvero molto bene. Quasi tutte le corde sono state scritte ed arrangiate sempre da Sean, che ha anche diretto l’orchestra quando è stato il momento di registrare, e questo da ancor più la sensazione che sia una terza chitarra, come in “Rough Landing”, “Holly”. Sono particolari come questi che hanno cambiato l’andamento, credo che volessimo reinventare il fatto di avere un violino, muovendoci in diverse direzioni ed usandolo su più fronti assieme alla sua famiglia di strumenti.

 

Avete già suonato parecchio dopo l’uscita del disco: come reagiscono i vostri fans ai pezzi nuovi?

Davvero positive, se consideri che questo è un disco molto diverso o che comunque non ci si sarebbe aspettati dai noi. Abbiamo voluto cambiare qualcosa e variare un attimo la direzione musicale, e questo forse ha allontanato qualcuno che avrebbe voluto sentire le sonorità alle quali li avevamo abituati. Ma la nostra scelta è stata quella di non proporre un "Ocean Avenue" parte seconda, abbiamo in un certo senso sfidato il nostro pubblico. Alcune band lo fanno, vedono che funziona, che passano su radio e tv e i soldi arrivano e si adeguano. Abbiamo semplicemente cercato di sfruttare al massimo le possibilità che ci sono state offerte per fare quello che volevamo fare, e farlo in primis per noi stessi, indipendentemente da quante persone decideranno di comprare il disco. Siamo veramente contenti, non c’è niente di meglio che fare qualcosa per noi stessi ed esserne così soddisfatti.

 

E cos’è successo con Ben? L’arrivo di Ryan Mendez vi ha influenzati?

Dunque, Ben… (pausa, ndr) Vedi, eravamo in cinque, e c’erano cinque diverse personalità, cinque attitudini e stili di vita differenti; eravamo una famiglia e ci conoscevamo da moltissimo tempo, affiatati e capaci di comprenderci con uno sguardo, e come tutte le relazioni avevamo anche i nostri alti e bassi. Siamo però arrivati ad un punto in cui qualcosa doveva cambiare oppure gli Yellowcard rischiavano seriamente di dividersi, personalmente e professionalmente. Ben ha avviato la sua label personale, la Takeover Records, e siccome voleva dedicare più attenzioni a quella di quante ne fosse disposto a rivolgere alla band si creò un pesante conflitto di interessi, e conseguente stress, tra di noi. Successe tutto nel momento peggiore: quando sei in studio e devi dedicarti in toto a suonare. Abbiamo passato un brutto periodo, con il rischio di fermarci e bloccarci senza via d’uscita. É stato difficile, e mi fa male anche solo parlarne. L’arrivo di Ryan Mendez ha semplificato tutto perché ha un carattere favoloso e si è letteralmente buttato nel progetto come fosse un treno in corsa, lasciando la sua band e cambiando completamente stile di vita. Si è trasferito sul nostro tourbus nonostante si fosse sposato appena due settimane prima! Si è adattato magnificamente al nostro gruppo e si è anche evoluto, come persona e come musicista, rendendo la nostra vita decisamente più facile. Non possiamo che ringraziarlo.

 

Moltissimi ragazzi votano i vostri video su TRL, si presentano ai vostri concerti e vi supportano in ogni maniera anche su internet, come vi sentite a riguardo?

Devo dire che è una bella sensazione. Non c’è un modo vero e proprio per spiegare cosa succede quando sali sul palco e puoi testare la reazione ad un pezzo; quando sei eccitato da un pezzo anche il pubblico lo è, durante la canzone si sviluppa un’energia fortissima e se il pubblico canta insieme te ricevi quella sensazione di apprezzamento indescrivibile. A maggior ragione siamo ancora più invogliati nei paesi stranieri, dove la lingua è diversa ma la gente urla le tue canzoni ugualmente. In rapporto a quello che faccio non potrei sentirmi meglio di così. Ci fa piacere sapere che ci sono ragazzi così appassionati alla nostra musica da aiutarci a farla conoscere, ci fa sentire una sorta di “responsabilità” nei loro confronti e ci sprona a dare sempre il meglio.

 

Riuscite a vendere milioni di copie anche in un’epoca dominata dal download selvaggio: come ti regoli rispetto a Internet ed alle sue mille contraddizioni?

Il fatto è che la nostra band è stata scoperta soprattutto grazie allo strumento di Internet ed al downloading, non abbiamo pertanto, ne potremmo avere, problemi con queste cose. Se vuoi avere una nostra canzone è giusto che tu possa scaricarla e sentirla, e se ti piace è anche logico che ti vada a comprare il disco. La cosa più importante è che la musica è fatta per essere ascoltata, non per essere comprata. Qualsiasi siano i tuoi mezzi è giusto poter ascoltare musica e tutta questa situazione non mi disturba realmente, scarico anch’io delle cose! Per lo più sono brani di cui non riesci a trovare il supporto fisico nel negozio perché vecchie o ricercate, però va bene così.

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