L’8 Aprile 2025 è uscita l’autobiografia di Mark Hoppus, bassista/cantante dei blink-182, e ho deciso di leggerla immediatamente in inglese, vista la curiosità suscitata da un nome così in vista della scena (pop)punk mondiale.
Al termine delle 400 pagine, purtroppo, devo dichiararla una mezza occasione sprecata. Mark ha scritto il libro in collaborazione con Dan Ozzi, giornalista musicale già rodato su altre biografie come quella di Laura Jane Grace, e spesso si notano due stili diversi nella narrazione, come se Mark avesse voluto sorvolare velocemente su molti aspetti della sua vita, lasciando al giornalista il compito di riempire un po’ i buchi e aumentare la quantità di pagine da stampare.
La narrazione, ad esempio, si sofferma per quasi il 20% del libro fra infanzia e adolescenza di Mark, ma in mezzo a molte descrizioni fisiche del luogo in cui è nato, c’è un solo evento importante: il divorzio dei genitori, che segnò psicologicamente lo sviluppo del cantante – egli stesso dice che tutto quel che c’è da sapere su di lui è racchiuso lì, nel cercare di far felici tutti, e nel senso di inadeguatezza che prova quando non riesce a mediare fra persone che litigano.
Quando finalmente si inizia a parlare di musica, i blink-182 nascono in maniera organica e tranquilla, ma sembra che fino a dopo le registrazioni di Enema Of The State (il terzo disco, quello che li lanciò nella stratosfera discografica) i tre membri avessero a malapena l’idea di quel che stavano facendo, spinti solo dalla voglia di fare musica senza preoccuparsi di come lo stessero facendo. Tutto il libro, purtroppo, soffre spesso di superficialità: vengono narrati episodi ai quali non viene dato un finale (perché si dice che la vagina della ragazza di Mark “scoppiò” dopo una festa? perché raccontarlo, se non ci sono altri dettagli?) o un inizio (si cita l’amicizia con Dexter Holland, senza mai spiegare come abbiano conosciuto gli Offspring), e il tutto si allarga alle interazioni all’interno della band – prima si parla esclusivamente del rapporto con Tom DeLonge, come se il primo batterista Scott Raynor non esistesse e non avesse fatto niente se non ubriacarsi da minorenne, e anche a Travis Barker non viene dedicato molto spazio, si chiude il libro avendo l’idea che sia un tizio a cui piace fumare molte canne e che voglia solo suonare la batteria e coprirsi di tatuaggi.
E’ un pessimo libro? No, per fortuna ci sono dei passaggi molto buoni: la narrazione è particolarmente efficace quando descrive, al tempo presente e in prima persona, quello che succede e quello che si prova quando si sta per giorni in tour su un minivan, oppure quando si è ospiti (per dozzine di volte) di TRL Live per MTV, o quando si vince un premio. Quelle pagine fanno ben capire la follia del tutto: la follia del voler stare in cinque su un minivan senza posto per dormire, guidando tutta notte, lottando per i turni al volante, o la totale inutilità di TRL per gli artisti, che volavano da una parte all’altra dell’America per rispondere a due domande che non capivano nemmeno e poi lanciare il loro videoclip: tre giorni di vita “sprecati” per due minuti in TV, ma quei due minuti erano essenziali per una carriera.
E ovviamente le descrizioni più toccanti, quelle che portano a rileggere alcune pagine della biografia, sono quelle legate alla scoperta del cancro e alla chemioterapia che ne seguì. Un passaggio molto umano, costellato dall’aggravamento dei problemi di salute psichica di Mark.
In generale, la storia dei blink-182 e di tutte le persone che sono girate intorno alla band è spiegata in maniera lineare, anche se spesso affrettata e senza troppe riflessioni: incredibile come abbiano ceduto subito alla richieste di fare qualcosa di più leggero nel momento in cui presentarono Take Off Your Pants and Jacket, che nelle loro intenzioni doveva essere un disco punk duro e incazzato, per poi arrivare ad essere felici di seguire tutte le indicazioni di produttori pop per California – a Nine invece è dedicata una pagina per dire che, beh, l’hanno registrato.
Certo, i due split della band sono raccontati nel dettaglio (anche se ora vorrei sapere il punto di vista di Tom DeLonge, a cui è addossata tutta la colpa in entrambe i casi), così come tutte le sensazioni provate quando si cercava di lanciare i +44 per poi veder fallire il progetto. Ma si ha l’impressione che ci sia concentrati troppo su alcuni dettagli dell’infanzia, e veramente troppo poco sul riflettere su alcuni degli eventi che hanno segnato la vita di Mark e della band.
Se ne ricava un ritratto un po’ stereotipo di “Mark Hoppus dei blink-182”: un tizio che ama la musica, fortunato in molte sue scelte, ma poco incline all’autoriflessione. Insomma, il Mark Hoppus che amiamo ricordare mentre corre nudo nel video di All The Small Things.
Non ho idea se Fahrenheit-182 verrà mai tradotto in Italiano, io l’ho letto in inglese appena uscito e ho voluto condividere i miei pensieri a riguardo.
Fahrenheit-182: A Memoir
by Mark Hoppus
400 pagine
pubblicato in inglese per Dey Street Books
5 cose che ho imparato da questo libro
1. Esiste un mondo alternativo in cui M. Night Shyamalan ha diretto il video di “Miss You”.
2. In parte scherzando e in parte no, Mark si intesta parte del merito per la cattura di Saddam Hussein: espose una sua idea per stanarlo ad un generale della marina americana, e dopo 4 mesi Saddam fu trovato.
3. Droga e alcool non hanno mai fatto particolarmente parte della vita di Mark Hoppus – ed è incredibile leggere una biografia di un musicista che ha evitato queste trappole!
4. L’Italia è citata due volte nel libro, come esempio prima di quanto i blink fossero all’improvviso amati a livello internazionale, e poi di come quell’amore avesse anche un risvolto negativo. Insomma, Mark ricorda bene quanti fan presero d’assalto gli studi di TRL Italia quando vennero a Milano, ma ricorda ancora meglio il tristemente famoso concerto all’Independent Days 2000, quando suonarono dopo Deftones e Limp Bizkit e vennero cacciati dal palco a sassate dopo soli 8 brani.
5. In effetti, Mark si ricorda anche un po’ di lingua italiana, come mostra questo passaggio: