Dopo quasi un decennio di vita, il progetto Punk Goes Acoustic continua a crescere e a dimostrare che il punk non è solo distorsione e velocità, ma anche emozione e immediatezza in chiave acustica. Con l’uscita dell’ultima compilation, il progetto è riuscito a coinvolgere sempre più band e a sostenere importanti iniziative benefiche.
In questa intervista, parliamo con Andrea Rock per scoprire le novità dell’ultima raccolta, gli aneddoti dietro le quinte e le sfide di portare avanti un’iniziativa no profit che unisce musica e solidarietà.
- Rieccoci con il progetto PGA “Punk Goes Acoustic” dopo quasi 10 anni di vita, quali sono le principali novità dell’ultima compilation ?
Ciao a tutti e grazie per lo spazio concesso al nostro progetto.
Direi che la principale novità sta nel fatto che ormai il punk in acustico è una realtà solida, accettata e promossa da tutte le band della scena italiana. Il periodo della pandemia ha visto proporre performance acustiche da parte delle realtà anche più oltranziste, tipo Nabat o Bull Brigade. Gli amici Punkreas hanno prodotto addirittura un disco e un tuor con questo tipo di approccio. Insomma, a distanza di 15 anni dalla nostra prima serata, avevamo ragione noi!
- Puoi raccontarci qualche aneddoto significativo emerso nel mettere insieme l’ultima compilation?
Il processo di realizzazione del disco, essendo un progetto totalmente DIY nella gestione, è sempre lungo e può capitare di fare qualche piccolo errore; è successo anche stavolta, ma vorrei trasformare questi piccoli intoppi in opportunità. In fondo, come dice Seby dei Derozer: “s’è punk!”
- Esistono dei criteri per selezionare le band che partecipano al progetto PGA?
Credere nel progetto e nella causa, senza divismi o pretese di ritorni economici. Questi sono gli unici requisiti per far parte del nostro progetto che è un collettivo aperto veramente a tutti.
- In che modo la scena punk italiana ha risposto all’iniziativa “Punk Goes Acoustic”?
Nel 2012, ai tempi della prima compilation e dei primi eventi live, alcune vecchie cariatidi hanno borbottato su Facebook apostrofando il progetto come “carità pelosa” e “antitesi di tutto ciò che è punk”. Ovviamente ti parlo di gente che non suona dal decenni e che ha una mentalità nazifascista su cosa sia o non sia punk. Oggi, complice appunto quello che dicevamo relativamente ai tantissimi gruppi che hanno anche una dimensione acustica, siamo una realtà nota, che crea proseliti e diversi tentativi di imitazione (ben accetti, perché più si è, meglio è…ma non lucrateci sopra!).
- Per chi si fosse perso le “puntate precedenti” o non ha ancora visto il documentario ..Come è nata la collaborazione con “L’Isola che non c’è” e quali risultati avete ottenuto finora?
Il rapporto con l’associazione “L’isola che non c’è – odv” è nato grazie al contatto creato da Angelo “Ricu” Ricucci (For Those Afraid, Audrey…) che provenendo dalla stessa provincia e lavorando a stretto contatto con gli insegnati volontari, tra i quali mi preme citare Massilanciasassi (Leeches), mi ha permesso di conoscere la struttura e i ragazzi. La loro spontaneità e sincerità mi ha rapito e ho capito che avrei dovuto fare quanto più era in mio potere per supportare al massimo il loro percorso.
- Ricordo ancora il super live al Bayfest 2021 …
Avete in programma eventi live per promuovere la nuova compilation? Se sì, puoi anticiparci qualche dettaglio?
Vorremmo organizzare due “main event” in due città importanti; sto pensando a Milano e Bologna, ma anche Roma o anche più giù…per raccogliere una buona cifra che sia l’inizio del nostro percorso legato a questa nuova compilation e al progetto dei volontari dell’Isola, ovvero, acquistare la struttura che da anni li ospita, con n modo tale da non essere vessati da un costante affitto. Mi piacerebbe tornare in teatro per queste prime date e dare la giusta visibilità e dimensione a tutti coloro che hanno dato il loro contributo per la nostra causa. A seguire vorrei poi che ogni band/artista avesse la libertà di organizzare il proprio evento PGA, sempre ovviamente 110% no profit, a supporto dell’Isola. Per fare questo serve la complicità dei locali e di chi organizza che devono sposare in toto la mission del progetto.
- Quali sono le sfide principali nell’organizzare eventi benefici come quelli legati al progetto PGA?
Evitare che si trasformino in serate “furbe”, nelle quali l’organizzatore vede la possibilità di avere nomi anche importanti della scena, a fronte di una donazione. Negli anni, mi hanno contattato chiedendomi: “Ma vengono i Finley? Ci saranno gli Shandon?”. Chi sceglie di dare spazio al PGA, sceglie di supportare una causa: non dovrà importare quale artista sarà presente in quel determinato contesto. Sono tutti artisti validi con un grande cuore e questo è il messaggio che deve passare. Da parte sua, l’artista non deve avere alcun tipo di pretesa: se il locale vorrà offrirgli da mangiare, da bere o, quando necessario, un posto letto ben venga. Ma teniamo sempre presente che in ogni evento l’obiettivo è massimizzare la donazione. Diverse volte ho “contrattato” hospitality con una donazione più cospicua e gli artisti si sono arrangiati e sostentati con mezzi propri. A mio avviso, la beneficenza si fa così
- Quali sono i vostri obiettivi futuri per il progetto PGA ci rivedremo live?
Sarebbe bellissimo partecipare al Punkadeka Festival! A parte questo, l’obiettivo a lunga distanza è dare una mano all’Isola per entrare finalmente in possesso delle mura della struttura. Sono personalmente pronto a fare qualsiasi cosa, pure il giudice in un talent show, per raggiungere la cifra necessaria! Scherzi (più o meno) a parte, ci vedrete e riavrete in giro e stiamo già ricevendo proposte per PGA 5.