PUNKREAS e le balene bianche giapponesi…

Parliamo con Flaco del nuovo disco e molto altro…

Radio Punkreas è il vostro ultimo album, uscito il 10 giugno. Qual è il significato del suo titolo?

Significa che facciamo noi i dj e scegliamo noi cosa mettere. Cosa che nelle radio “vere” non si può più fare. Almeno così ci dicono dj come Nikki o Andrea Rock, ogni volta che si dispiacciono per non poter trasmettere un nostro pezzo. Ma forse cercano solo di essere carini.

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A chi dobbiamo attribuire la selezione dei pezzi? Avete seguito dei criteri particolari?

Nessun criterio rigido, l’idea era quella di dissotterrare una parte del nostro inconscio sonoro, e siccome l’inconscio se ne frega delle regole e mescola un po’ di tutto, troverete i CCCP insieme a Richard Sanderson.Unica condizione richiesta era che le canzoni fossero adattabili a noi.

 

In Radio Punkreas ci sono molti featuring con artisti italiani. Che rapporto vi lega a loro? Li conoscevate personalmente anche prima della collaborazione?

Li conoscevamo quasi tutti, eccetto Radius che è stato un piacere e un onore conoscere, anche perché oltre che grandioso chitarrista è una persona incredibilmente affabile e disponibile. Piotta l’avevamo incontrato più volte, e addirittura Pale e Cippa avevano avuto con lui e Luca Zulu una piccola avventura sulla Rainbow Warrior, la nave di Green Peace. Hanno più volte temuto di affogare e la paura cimenta i rapporti. Samuel, Bunna, El Tofo sono vecchi amici, Alteria ci ha prestato la sua voce meravigliosa. L’incontro con Freak Antoni ci ha lasciato qualcosa di indescrivibile: un artista capace di affrontare tutto – dalla malattia al mancato riconoscimento del suo valore – col sorriso beffardo sulle labbra. Un esempio.

 

State già pensando ad altre collaborazioni, magari per un album di inediti?

Non stiamo ancora pensandoci in maniera progettuale, ma penso proprio che Radio Punkreas vedrà un volume 2. Per l’album nuovo si vedrà. Da quando abbiamo iniziato a collaborare abbiamo scoperto un mondo nuovo, e la cosa ci piace assai.

 

 Il vostro ultimo album contiene una traccia in inglese, Reality, un’eccezione considerando la vostra venticinquennale produzione (e qui i complimenti sono d’obbligo!). Da quali motivazioni è stata dettata la scelta di scrivere testi sempre e solo in italiano?

Ma perché se suoni in Italia e sei italiano devi fare così. Se fai altrimenti significa che non sai scrivere testi, e ti rifugi nell’inglese pensando di scamparla. Calcolo errato ovviamente. Che io sappia, gli unici gruppi italiani che cantano in inglese e hanno avuto successo sono quelli che da subito hanno avuto come riferimento il mercato internazionale. Nonostante ciò, mi arrivano frequentissimamente demo di gruppi italianissimi, di gente che è stata all’estero giusto per la gita scolastica, e che però cantano in inglese. Confesso che non li degno di ascolto.

 

Per il video del primo singolo estratto dall’album, vediamo una collaborazione con una organizzazione non-profit che opera in Zambia, cosa ne pensate realtà come questa?

Siamo sempre stati piuttosto scettici quanto alle iniziative benefiche. Per lo più ci sembrano ipocriti tentativi di guadagnare simpatia e attenzione a prescindere dalla qualità di ciò che si fa. Ma questa volta abbiamo chiesto a tutti i nostri amici e fan di mandarci dei selfie per il video de “Il Mondo”. Tra questi, ci è arrivato il girato di questi ragazzi zambesi. Il responsabile di questa micro organizzazione ci ha chiesto gentilmente e timidamente se potevamo usare qualche secondo del loro video e mostrare il logo di IN& Out of the ghetto. Ci siamo un po’ commossi, e abbiamo deciso di mettere mano al portafoglio e devolvere i proventi del download della canzone.  Speriamo che anche la nostra casa discografica decida di farlo. Per ora nicchiano ehehehe

 

Il vostro ultimo tour ha presentato i brani di Radio Punkreas, ma anche delle chicche suonate raramente (o mai) durante i live. Qual è stato il riscontro del pubblico?

Ho la sensazione che il classico pubblico punk non esista più, o se esiste è migrato altrove, forse giudicandoci troppo compromessi col sistema (ahahahah).

Così ultimamente troviamo spesso un pubblico diviso tra estimatori di lunga data, che apprezzano molto la scelta, e pubblico nuovo, che nemmeno è in grado di distinguere tra classici e chicche. Lentamente le due fazioni si amalgamano. Poi, quando si arriva a Aka Toro e Canapa, la fusione è completata.

 

La vostra carriera è stata sempre in ascesa, un successo dietro l’altro. Riuscite a vivere con la musica? Perdonate l’indiscrezione…

Sono circa 15 anni che la musica è il nostro lavoro. Inutile dire che sia sempre più dura. Non bastava il digitale, il free download, la crisi dei promoter storici. Serviva anche la peggior crisi sociale da dopoguerra ad oggi per completare l’opera. Ma anche nelle difficoltà continuiamo ad industriarci per mantenere questo lavoro. Non solo ci piace moltissimo, ma a questo punto non sapremmo proprio che altro fare ahahaha

 

Come vedete il panorama punk in Italia?

Come quello delle balene bianche nel mar del Giappone

 

Alcune giovani band italiane stanno sperimentando nuovi suoni e tematiche. C’è qualcosa di nuovo che ci consigliereste di ascoltare?

 

Ho la cattiva abitudine di evitare le novità. Sai, ci sono quelli che si precipitano a comprare l’ultimo modello di qualsiasi cosa. Io tendo a preferire cose che hanno già dato prova di resistere al tempo. Detto questo, trovo alcuni dei testi del Management del dolore post-operatorio veramente geniali.

 

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