Scrivere degli Helen Love ai vecchi brontoloni che leggeranno questa fanzine non è un’impresa particolarmente ostica perché, anche se non doveste conoscere questa veterana gallese, sareste assolutamente a vostro agio con tutti i folli riferimenti estetici e sonori che compongo la stupenda musica di Helen & Co.
Certo, voi giovani siete molto più svegli di noi anziani e certamente non vi stupiranno le copertine in stile manga dei vecchi 7” come Punk Boy, Ahead Of The Race (con quel bellissimo Ranma tarocco) e dei dischi come il capolavoro Love And Glitter, Hot Days, And Music. Penso che i più giovani capirebbero al volo anche le grafiche ispirate ai videogiochi e saprebbero riconoscere l’estetica della primissima Playstation sulla copertina di Beat Him Up. Anche a livello di riferimenti sonori, chiunque saprebbe riconoscere i vari ingredienti del cocktail di Helen Love: un mix di lo-fi garage, bubblegum e dance tamarra Anni 90.
Ok, fin qui è facile sia da capire che da spiegare, perché tanti artisti contemporanei usano sapientemente questi elementi (la scena di Lipsia in Germania è un ottimo esempio, anche se i toni sono meno spensierati) e, diciamocelo, chiunque ha letto un manga, giocato ai videogiochi e ascoltato sia i Ramones che Dua Lipa. Quello che non saprei spiegare a te, mio giovane amico è quanto, fino almeno alla prima metà degli Anni 2000, una cosa del genere fosse assurda, coraggiosa e facesse persino incazzare qualcuno. Io ho la fortuna di vendere dischi per lavoro e vedo quanto le nuove generazioni siano più aperte, la stessa persona compra i Clash e Charlie XCX (sì, mi è capitato di venderli entrambi ad una ragazzina non tanto tempo fa); la mia generazione, ma ancor più quella prima della mia, i nati tra fine 70 e inizio 80, non aveva questa apertura mentale e un pezzo come Better Set Your Phasers To Stun, che mischia le parole di Rockaway Beach alla peggio cassa dritta da Eurovision, deve aver urtato la sensibilità di molti. Non mi viene altro modo di spiegare questa ostilità se non come una sorta di guerra tra bande, noi contro di loro, truzzi contro punk, punk contro metallari, metallari contro metallari che ascoltano metal meno tecnico del loro. Era una questione di appartenenza, di credo religioso, di fondamentalismo musicale. Ognuno di noi sentiva il disperato bisogno di esprimere sé stesso con la maglietta del proprio gruppo musicale preferito e di difendere la propria posizione come un prussiano in trincea.
“Più di tre accordi? Roba da metallari”.
Adesso che di queste cose, giustamente, non importa più a nessuno e che possiamo goderci persino i Plakkaggio all’Edonè, il coraggio di Helen passa un po’ in sordina, ma ai tempi era essere assolutamente fuori dal tempo e da ogni contesto, con grande probabilità di essere fraintesa. Wanna be a punk, wanna be a punk rock girl. Lipstick, make up, Saturday night discotheque deve essere sembrato un ossimoro tanto idiota quanto assurdo. Invece era genio e avanguardia, situazionismo punk al 100%.
Persino le copertine, che in quest’epoca dove tutto è citazione, devono essere state un pugno in un occhio in mezzo a quelle di gente con il chiodo appoggiata ad un muro che ovviamente citavano la cosa “giusta”. Considerate che i Manga non se li inculava nessuno e che gli omini della Playstation erano una cosa contemporanea, è come se adesso un gruppo punk mettesse in copertina i personaggi di Fortnite (forse è un esempio che non calza ma non gioco a videogame nuovi da almeno 20 anni). Ma che male c’è? Helen Love raccontava della propria vita nella propria cameretta, di ciò che leggeva, di ciò che ascoltava e del proprio tempo, era innamorata di Joey Ramone e degli Atari Teenage Riot, voleva la disco dance a 200 bpm, il lucidalabbra, i glitter e i boots. Ecco, è un po’ come se avesse ripreso la propria vita per metterla su Instagram, ma senza filtri, con una semplicità e una schiettezza coinvolgenti.
Totalmente DIY e lo-fi inteso come gesto estetico e di libertà da mercato discografico, è la stessa Helen a sintetizzare perfettamente le propria scelte nel brano-manifesto We Love You:
Bubblegum, punk pop, disco, don’t stop
Make a record in your home
You don’t need a studio
Bubblegum, punk pop, disco, don’t stop
Drum machine, Casio
Get it on the radio
Che aggiungere, miei giovani amici. Probabilmente avreste goduto del concerto di Helen Love anche senza questo mio sermone sul DIY e l’apertura mentale, ma magari, sul prato dell’Edonè, mentre ballerete al ritmo di Jump Up And Down vicino a uno skinhead sudato con la maglietta dei Klasse Kriminale o a un punk rocker ubriaco con jeans stretti e Converse, ricordatevi che sarebbe stato meno probabile senza una folle band di discotecari punk del Galles.
Alberto Flamingo
Flamingo record??