Gli Strung Out sono tra i migliori gruppi della Fat Wreck. Band tecnica, ha iniziato con un Hardcore Melodico (o Skate Punk come a volte si chiama oggi) veloce, orecchiabile, per poi virare nella maturità in un sound piuttosto metallico, che a parere di chi scrive li ha un po’ messi in un vicolo cieco.
Inizia tutto con “Another Day in Paradise” disco piuttosto sottovalutato, ma già più che buono. Non c’è ancora il classico suono Strung Out, ma molti pezzi che ne anticipano la forma. “Lost?”, “Population Control”, in altri invece c’è ancora l’ingenuità degli esordi, ma è un disco validissimo, se non si conoscesse il valore degli Strung Out successivi.
Con “Suburban Teenage Wasteland Blues” c’è invece il primo capolavoro della band. Disco velocissimo, forse il più veloce di tutto il genere, prodotto non benissimo ma con nessun pezzo minore nella scaletta. Si può tranquillamente ascoltare tutto, in una delle vette assolute del Punk anni ’90. “Monster”, “Solitaire”, giusto per citare due dei migliori risultati, ma è un disco con nessun punto minore.
“Twisted By Design” riesce a superare il predecessore, grazie a una maggiore cura nei singoli pezzi, che qui diventano potenzialmente diversi singoli del gruppo. Se Suburban era tutto di altissimo livello, qui ci sono picchi ancora più alti. Continua anche l’alternarsi di canzoni più melodiche ad altre più ruvide, che è un classico degli Strung Out. Qui i classici sono tanti: “Matchbook”, canzone simbolo della band, “Too Close to See” e la claustrofobica “Mind of my Own”, solo per citarne alcune.
l’EP (chiamiamolo EP ma ha 8 canzoni) “The Element of Sonic Defiance” aggiunge un altro gran tassello alla loro discografia. Qui il suono si incupisce, precedendo ciò che verrà dopo.
“An American Paradox” è un disco ascoltabilissimo, ma se paragonato a quello prima un po’ fiacchetto, più lento con una produzione che non mi convince. Contiene comunque tre, quattro grandissimi pezzi, tra cui una delle loro migliori canzoni in assoluto, “Velvet Alley”.
L’ultimo capolavoro della band è “Exile in Oblivion”. Figlio dell’epoca Emo è quello più cupamente sentimentale, ma non manca l’hardcore piuttosto duro, più che in passato. “Swan Dive” è anche un commovente omaggio a Jim Cherry, ex bassista della band (membro anche degli ottimi Zero Down) prematuramente scomparso, che compete con “Matchbook” come picco assoluto della loro ispirazione.
Da qui in poi gli Strung Out giustamente sperimentano (è pur sempre più onesto di rifare sempre lo stesso disco) ma perdono ispirazione, e, chi è cresciuto con il primo sound della band, chiaramente non può preferire questa seconda versione. “Andy Warhol”, “Crows” (non contenuta in nessun disco) e “Calling” restano comunque i migliori episodi della fase 2 del gruppo.
“Songs of Armor and Devotion” torna invece maggiormente indietro, al sound “classico” dei nostri, con ottimi risultati ma qualcosa di troppo sentito, essendo di fatto un ritorno abbastanza dichiarato al periodo di almeno quindici anni prima.
Tra amanti folli o detrattori di un suono magari troppo tecnico, sicuramente la band losangelina non ha mai destato indifferenza, diventando una delle più note del punk anni 90 e 2000.
1994 – Another Day in Paradise 7,5
1996 – Suburban Teenage Wasteland Blues 9
1998 – Twisted by Design 10
1999 – The Element of Sonic Defiance 8
2002 – An American Paradox 7
2004 – Exile in Oblivion 8,5
2007 – Blackhawks Over Los Angeles 6,5
2009 – Agents of the Underground 6
2014 – Transmission.Alpha.Delta 6,5
2019 – Songs of Armor and Devotion 7
2024 – Dead Rebellion 4,5