I Lawrence Arms tornano sulla scena a due anni di distanza dal capolavoro “The greatest story ever told” e si sa che dopo un capolavoro la possibilità di scivolare su una buccia di banana è sempre molto alto. I Lawrence Arms da bravi equilibristi circensi quali sono, non solo non vi scivolano sopra ma addirittura sfornano un ulteriore capolavoro in cui riescono ad evolversi nuovamente.
Procediamo per gradi e ripercorriamo la loro carriera. Dopo un paio di buoni album su Asian Man Records approdano su Fat Wreck e licenziano “Apathy and exaustion”, discreto album pop-punk in cui erano presenti 3-4 very big tunes.
Ebbi la fortuna in occasione di quel tour di vederli dal vivo (e ubriacarmi con loro) e mi fecero un’ottima impressione poiché davanti ad una platea di sole 9 persone diedero il massimo divertendosi e facendo divertire l’esiguo ma caloroso pubblico. Lì, capii che questi ragazzi avevano talento e stoffa da vendere.
Dopo pochi mesi uscì “The greatest story ever told” e le mie impressioni furono confermate. Quell’album fu un capolavoro in cui potenza e melodia convivevano fianco a fianco.
Il primo ascolto fu folgorante, dopo una prima canzone pop/punk molto melodica si apriva “On with the show” sfuriata potente e grezza che disorientava completamente l’ascoltatore. L’intero album era come una montagna russa in bilico tra melodia e accelerazioni hc.
Il seguito di un album come “The greatest story ever told” per qualsiasi band sarebbe stato difficile poichè o si cerca di cavalcare l’onda del successo oppure si scrive un album mediocre che non è ne carne ne pesce.
I Lawrence Arms invece scelgono una terza via: cambiare rotta per incidere un nuovo capolavoro! La voce melodica di Chris si fonde con quella acre e grezza di Brendan e quasi l’intero album viene cantato con il doppiocanto, soluzione inedita per la band ma che ha dato risultati eccellenti.
L’intero album è come un fiume in piena che travolge ogni cosa, una forza impressionante che questo power-trio riesce a controllare dalla cabina di regia con arguzia, talento e grande originalità.
I legami con i precedenti album sono praticamente recisi, “Oh! Calcutta!” è a tutti gli effetti un nuovo (eccellente) capitolo per la storia di questa band.
Canzoni come “Recovering the opposable thumb”, “beyond the embarassing style” o la splendida “are you there Margaret? It’s me God” sono dei potenziali hit-single che potrebbero scalare senza alcun problema la Billboard. In questo album non vi sono compromessi, “Oh! Calcutta” è uno di quei classici album che creano un punto di rottura e in cui il Punk Rock regna sovrano su tutte le 12 tracce.
Si sente in questo album di come questi ragazzi siano perennemente in tour, riescono a creare melodie di immediata presa sull’ascoltatore senza per questo risultare banali o usare i soliti cliché. L’esser costantemente in tour è sicuramente un valore aggiunto per ogni band, in questo modo, è il segreto di Pulcinella quello che sto per dire, riescono a migliorare le loro capacità compositive confrontandosi con altri artisti da anni on the road.
Questo è infatti uno dei motivi per cui i bombolotti punk che ci propone MTV sono assolutamente ridicoli, diventano headliner dei loro tour senza un minimo di esperienza e confrontandosi solo con i ragazzi dalle orecchie otturate dal cerume che vanno ai loro concerti e non hanno modo di crescere.
Se un giorno mi chiedessero di stilare una classifica dei migliori 10 dischi Fat Wreck questo album sicuramente sarebbe presente. Non mi stupirei se etichette discografiche di grido ricoprissero di verdoni questi ragazzi per poter accaparrarsi il loro talento. Un album da inserire tra “About time” dei Pennywise, “Duh” dei Lagwagon e “Punk in drublic” dei Nofx.
Voto: 9 + (S-P-E-T-T-A-C-O-L-A-R-E)