The last rock’n’roll show of the last rock’n’roll band.

Gennaio 1996. Ultimo tour italiano dei Ramones. A marzo si scioglieranno per sempre. La storia finisce. Da marzo in poi mancherà qualcosa a tutti noi. Domenica 22 gennaio, pomeriggio, sto guardando lo special dedicato ai Ramones trasmesso il giorno prima da Videomusic e presentato da quell’idiota di Paola Rota. Suona il telefono, è Antonella che mi chiama da casa sua. Lei ed i suoi compagni di viaggio sono appena arrivati a Milano da Pordenone dove ieri sera hanno assistito al secondo concerto italiano dei Ramones dopo essere stati il giorno prima a Bologna. Mi preparo e mi reco a casa sua dove ci sono suo fratello Alberto, la sua ragazza Lisa, i due fratelli livornesi Chiara e Japi, Luca – che questa sera ha il compito di ospitarli – e Yuko, giovane ragazza giapponese che vive, lavora e studia a Londra – in Italia per seguire il tour come tutti gli altri sopracitati – che è stata conosciuta a Bologna e che ha deciso di unirsi alla comitiva per le restanti due date. Io purtroppo non sono potuto andare con loro per motivi di studio ma mi rifarò domani sera con il concerto milanese.

Chiacchieriamo del più e del meno e verso le cinque decidiamo di fare un salto all’albergo in cui dormono i Ramones sperando di avere la fortuna di incontrarli visto che né a Bologna né a Pordenone si sono fatti vedere. Abbiamo svoltato ad un solo incrocio e ci accorgiamo subito che Antonella si è già persa. La aspettiamo per dieci minuti e quando arriva ci avvisa che si era fermata a fare benzina stupendosi del fatto che noi non ce ne eravamo accorti. Ripartiamo e dopo pochi minuti arriviamo all’Hollyday Inn di via Lorenteggio dove incontriamo al bar CJ – quasi irriconoscibile visto che si è tagliato i capelli cortissimi – e Charlie, cioè colui che durante lo show interpreta il Pinhead che porta a Joey il cartello Gabba Gabba Hey. Stiamo lì un po’ a chiacchierare e CJ ci dice che Joey è in camera a riposarsi per guarire dall’influenza che lo accompagna da qualche giorno – infatti le date di Roma e Firenze sono saltate proprio per questo motivo – e che difficilmente uscirà, mentre Marky e Johnny sono andati a fare un’intervista e torneranno più tardi. Intanto Luca si intrattiene con un giapponese nel tentativo di insegnargli i nomi delle squadre di calcio italiane mentre guardano “90° minuto”. Verso le 19.30 invitiamo sia CJ che Charlie a mangiare con noi. CJ declina gentilmente l’invito dicendo che deve aspettare Marky e Johnny per andare a mangiare con loro, mentre Charlie accetta molto volentieri. Dopo innumerevoli tentativi di trovare una pizzeria aperta la domenica sera in zona Lorenteggio – nonostante avessimo chiesto informazioni alla reception dell’albergo – finalmente “approdiamo” alla pizzeria da Totò in via Inganni.

Dopo esserci accomodati iniziano i difficilissimi tentativi di tradurre il menu ai nostri due ospiti stranieri – Japi e Luca, che conoscono molto bene la lingua a differenza di noi, si erano dovuti assentare per un paio d’ore -. Dopo aver mangiato – piuttosto male – ci tratteniamo al ristorante a chiacchierare di pesca – la grande passione di Charlie – e di guida, dato che Antonella aveva fatto venire l’infarto tre o quattro volte ai suoi passeggeri durante il breve tragitto tra l’albergo e la pizzeria. Verso le dieci e trenta ci raggiungono alla pizzeria Luca e Japi ed insieme a loro ritorniamo all’albergo. Pochi minuti dopo vediamo arrivare alla reception Marky – chiodo nero, felpa nera, pantaloni neri ed occhiali neri benché fossero le dieci di sera. Un grande – assieme a sua moglie Marion, ed appena ci vedono vengono a salutarci e si fermano a chiacchierare con noi. Marky ci racconta che a novembre tornerà in Italia per un tour con la sua nuova band, gli Intruders, e che ha intenzione di fare parecchie date in piccoli clubs. Poco dopo arriva Johnny e vi posso assicurare che mi ha lasciato veramente deluso. Sembra che noi gli stiamo dando fastidio – eravamo in meno di dieci e non eravamo certo fans scatenati alla Take That – risponde a monosillabi alle domande che gli vengono poste e quando gli si chiede se possiamo fare una foto con lui si comporta quasi come se lo avessimo insultato. Le uniche due cose che sembrano interessarlo sono una foto della sua chitarra che Antonella aveva trovato su di una rivista americana di strumenti musicali, – ed infatti chiede ad Antonella se gli può fare una fotocopia a colori per il giorno dopo – e soprattutto Yuko. Infatti incominciano a parlare come se fossero vecchi amici per quasi un’ora. Alla fine di questa conversazione praticamente svoltasi a senso unico – dato che Yuko, imbarazzatissima, non riusciva quasi a parlare – risaliamo in macchina per mostrare a Charlie le “meraviglie” della mia città, in particolare il castello Sforzesco, il Duomo e soprattutto la pizzeria Spizzico, dato che Japi e Luca – ancora a digiuno – si sono precipitati a mangiare non appena si sono accorti che la suddetta pizzeria era ancora aperta a quell’ora.

E’ quasi l’una quando Charlie ci chiede di riaccompagnarlo all’albergo dato che domani deve svegliarsi abbastanza presto. Il mattino dopo mi sveglio abbastanza presto anch’io dato che devo passare dal copista per fare le fotocopie a colori che ci aveva chiesto Johnny, passare a prendere Antonella a casa sua ed essere all’albergo per le dieci dove abbiamo un appuntamento con Marion e Marky per portarli a fare shopping – appuntamento preso la sera prima da Antonella che purtroppo non si era ricordata che al lunedì mattina i negozi milanesi sono chiusi -. Arrivati all’Hollyday Inn Antonella avvisa Marion che scende nell’atrio circa un quarto dora dopo accompagnata da suo marito che ovviamente indossa ancora gli occhiali da sole benché fuori ci sia un nubifragio. Gli spieghiamo qual è il problema e dopo avere fatto quattro chiacchiere con noi decidono di ritornare a riposarsi in camera. Stiamo per uscire quando ci accorgiamo che Johnny sta facendo colazione al ristorante assieme ai due roadie Jeff e Ric. Decidiamo allora di aspettare che finiscano per potergli consegnare di persona la fotocopia che avevo fatto.
Quando esce dal ristorante ci avviciniamo e lo salutiamo, ma mentre Jeff e Ric ci rispondono gentilmente lui fa finta di niente, anche quando gli consegniamo la fotocopia non si degna neanche di ringraziarci ricordandosene in extremis prima di salire in ascensore – per la cronaca, mentre le porte dell’ascensore si stavano chiudendo ci ha rivolto un misero “Thanks”. Seconda delusione -. Riaccompagno a casa Antonella e mi reco di fretta all’università dove avevo un appuntamento con una mia amica che ho fatto aspettare quasi un’ora. Ho provato a spiegarle che avevo ritardato per motivi “estremamente importanti” ma non penso che mi abbia creduto. Pazienza, per i Ramones questo ed altro. Sbrigato l’impegno universitario in poco più di un’ora mangio un panino velocemente e ritorno a casa di Antonella dove nel frattempo erano arrivati anche Luca, Japi e Chiara. Dopo aver ascoltato quasi per intero Loco Live decidiamo di fare ancora un salto all’albergo nella speranza di trovare ancora qualcuno.

Entriamo io e la Lisa, la quale si avvicina al banco e chiede “Mi scusi, vorrei sapere se i Ramones sono già usciti” al che il portiere digita qualcosa sulla tastiera del computer e dopo un attimo di consultazione risponde che non gli risulta. Lisa, alquanto stupita, dice “Guardi che non credo che possa essere scritto sul computer se sono già usciti o no” “Ha ragione, allora non lo so” e la risposta del “gentilissimo” portiere. Lasciamo perdere. Visto che oramai sono quasi le quattro del pomeriggio decidiamo di avviarci verso il Palatrussardi. Arrivati alla fermata della metropolitana di Lampugnano incontriamo Culo con alcuni suoi amici e ci fermiamo a parlare. Poco dopo vediamo fermarsi non molto lontano uno dei due furgoni dei Ramones – ah già non ve lo avevo ancora detto. Hanno fatto tutta la tournée con un Ducato, altro che tour bus o limousine di merda fatte apposta per le rockstar – e, dopo esserci avvicinati, scopriamo che si tratta di Johnny, Monte Melnick ed un Paolo Di Gaetano disperato perché non riesce a trovare l’ingresso posteriore del Palatrussardi.

Io, conoscendo abbastanza bene la zona, mi offro subito volontario per spiegargli la strada. Immediatamente vedo gli occhi di Paolo illuminarsi di gioia e mi dice di salire assieme a loro perché non ha tempo di ascoltare la mia spiegazione. Botta di culo galattica. Apro lo sportello, mi siedo di fianco a Johnny, lo saluto due volte e lui come se niente fosse mi ignora nella maniera più assoluta. Terza delusione in due giorni. Comunque ho la possibilità di entrare e di assistere così al soundcheck (che purtroppo è durato lo spazio di una mezza canzone, “The crusher” per l’esattezza) appoggiato al palco con alle mie spalle il Palatrussardi praticamente deserto. Purtroppo Joey non ha “partecipato” al soundcheck, così anche questa volta non ho avuto la possibilità di vederlo e magari di parlargli. Sono circa le sei e trenta quando iniziano ad entrare le prime persone, visto che nel frattempo erano stati aperti i cancelli. L’appuntamento con gli altri è davanti al banchetto delle magliette, dove ho l’occasione di incontrare Massi e Loris dei Chromosomes con le rispettive consorti, Sebi e Nando dei Senzabenza appena arrivati da Latina, Massimo dei Manges, Luca e Fabio di Non Ce N’è Max dei Killer Clown… insomma un bel po’ di gente. Sono circa le sette e mezza quando si spengono le luci e sul palco sale il gruppo di supporto, ma credo che per molti dei presenti – in realtà ancora pochi data l’ora – sarebbe stato molto meglio che non salissero mai.

Non mi ricordo il loro nome ma non fa molta differenza. Era uno di quei classici gruppi inglesi arroganti e presuntuosi che musicalmente si confondono alla perfezione tra le centinaia di proposte di un’industria discografica inglese oramai alla frutta ma che, dato che erano su un palco un metro e mezzo più alto di noi plebaglia, credevano di essere gli dei del momento. Tra una canzone e l’altra vengono ricoperti di insulti, fischi e vengono colpiti dai moltissimi oggetti lanciati sul palco mentre il cantante continua a sfoggiare i suoi atteggiamenti strafottenti da rockstar. Credo che sia meglio per tutti fare un salto avanti di quasi un’ora per arrivare al momento in cui, come già era successo prima, si spengono nuovamente le luci, ma questa volta sul palco devono salire Loro. Dal Palatrussardi si alza un coro unanime “Hey Ho, Let’s Go”, il palco si riempie di fumo e dall’impianto di amplificazione escono le note di “The good, the bad and the ugly” di Ennio Morricone, come oramai siamo abituati a sentire da parecchi tempo. Dopo pochi minuti, durante i quali il coro del pubblico continua ininterrottamente, quattro ombre prendono possesso dei loro posti sul palco, due sui cubi ai lati del palco stesso, una in mezzo e l’ultima dietro alla batteria. Parte “Durango ’95” a mille all’ora – anche se purtroppo l’impianto di amplificazione era parecchio scadente – e da qui in poi, per un’ora e mezza, sarà solo ed unicamente r’n’r.

Seguono a ruota “Teenage lobotomy”, “Psycho therapy” e l’arcinota “Blitzkrieg bop” senza un attimo di sosta. Tra una canzone e l’altra ce solo lo spazio per un fulmineo one-two-three-four urlato a squarciagola da CJ. Subito dopo Joey ci chiede se ci ricordiamo di una certa “R’n’r radio” e via con altre quattro canzoni sparate nello stomaco. Per fortuna il pubblico non è lo stesso presente al Forum qualche mese fa per vedere i Green Day e quando Joey urla nel suo microfono “The KKK…” riceve una risposta all’unisono da tutto il Palatrussardi “…took my baby away”. L’apoteosi viene raggiunta quando i quattro fratellini propongono le canzoni tratte dai primi album, in particolar modo la triade “Commando”, “Sheena is a punk-rocker” e “Rockaway beach”. La scaletta, come avrete capito, è la stessa proposta oramai da più di cinque anni con le minime variazioni dovute all’uscita del nuovo disco da cui sono state tratte “Cretin family”, “The crusher” e “I don’t wanna grow up”. Le condizioni di Joey non sono purtroppo migliorate molto e più di una volta la sua voce scompariva dietro al martellare di Marky ed allo sferragliare di Johnny e CJ.

Come di consueto viene sostituito in alcuni pezzi dal fratellino minore che si cimenta in “Strenght to endure”, “Cretin family” e “Ramones” (cover dei Motorhead dedicata proprio a loro). Il primo bis si apre ancora con CJ alla voce che ci propone “My back pages” ed a seguire la splendida “Poison heart” ed una “We’re a happy family” sparata a mille. Se ne vanno per la seconda volta ma stranamente la maggior parte del pubblico rimane in silenzio credendo probabilmente che il concerto sia finito (disgraziati, non lo sapete che l’ultima canzone è “Beat on the brat”). Ritornano sul palco in tre per “The crusher” e sulle note finali di questa canzone rientra anche Joey per proporci “Chinese rock” e, come da copione, “Beat on the brat”. Queste sono veramente le ultime tre, non torneranno più sul palco, non torneranno più in Italia e non torneranno più a suonare. Quanto mi mancherete!!!!! Ma non è assolutamente il caso di stare qui a piangersi addosso, dobbiamo andare all’albergo al più presto sperando di riuscire ad arrivare prima di loro, così potremo finalmente riuscire ad incontrare Joey.

Purtroppo però, vista la sfiga che ci contraddistingue, arriviamo all’hotel esattamente due minuti dopo che loro erano saliti in camera. L’unico ad essere rimasto è CJ con il quale ci intratteniamo a parlare. Poco dopo ci raggiunge l’onnipresente Charlie ed il mitico Arturo Vega (se non sapete chi è andate a vedere chi è che ha curato la grafica dei primi tre dischi dei Ramones). Purtroppo anche CJ si è lamentato della pessima acustica e della non troppo calorosa partecipazione da parte del pubblico, soprattutto prima del secondo bis. Tra chiacchiere, massaggi shatzu (spero che si scriva così) praticati da Yuko a tutti i presenti ed abbondanti bevute si sono fatte quasi le due. Siamo tutti stanchissimi, ovvio, dopo una giornata passata interamente in giro per Milano e dopo un concerto del genere. Dopo aver salutato tutti ci apprestiamo ad andare quando si sentono le porte dell’ascensore aprirsi e nella penombra intravediamo Lui. Il Dio sulla terra, il Padre Spirituale di tutti noi, colui il cui nome è Jeffrey Hilman, alias JOEY RAMONE.

Tutto nero: scarpe, pantaloni, maglietta e capelli, si dirige barcollando verso di noi. Sembrerà scontato ma non ci potevo credere. Lo saluto timidamente, gli faccio i complimenti per il concerto, gli parlo sottovoce, quasi per il timore di non disturbarlo. Subito si rivela una persona estremamente cordiale, disponibile, gentilissima. Tutt’altra persona rispetto al suo collega chitarrista. Si stupisce che tutta questa gente sia rimasta li tutto questo tempo solo per aspettare Lui e ci dice se se lo avesse saputo sarebbe sceso molto prima. Non mi sembra vero di essere a pochi centimetri di distanza da Lui, potergli parlare normalmente come si parla ad un amico, non avrei mai pensato di poterci riuscire, pensavo che sarei svenuto prima ed invece… eccomi qui. Ad un certo punto, mentre io ed Antonella stavamo parlando con Lui vedo avvicinarsi alle spalle di Joey Alberto il quale si china sulla spalla destra di Joey e lo annusa!!!!!!!!!!!!!! Giuro non sto assolutamente scherzando, io mi sono trattenuto a stento dallo scoppiare a ridere. Quando gli ho chiesto spiegazioni del suo gesto ai miei occhi inconsulto mi ha risposto in questo modo “Volevo baciarlo, ma non ce l’ho fatta”. A questo punto le risate non sono state più trattenute. Purtroppo anche per Lui la stanchezza si fa sentire e dato che domani mattina si devono alzare presto dopo poco più di un quarto d’ora decide di abbandonarci. Prima che se ne vada Chiara lo saluta dicendogli “Adios Amigos”, Joey, oramai incamminato verso l’ascensore, ricambia il saluto con un biascicato ADIOS senza neanche voltarsi, imbocca il corridoio e si infila nell’ascensore. Non credo che Lo rivedrò mai più. Il viaggio di ritorno – che tra l’altro è durato parecchio perché ho dovuto accompagnare Luca e Japi fino a Gorgonzola – l’ho passato completamente in trance, incapace di proferire alcuna parola. Tra una cosa e l’altra sono arrivato a casa alle quattro di mattina ma vi posso assicurare che ne è valsa la pena. Eccome. Non credo che dimenticherò facilmente questi due giorni. Anzi credo che rimarranno radicati nella mia memoria per il resto della mia vita.

Grazie Ramones.

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