PUNKADEKA FESTIVAL 25th Anniversary
SMASHROOMS

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…”La vita nella nostra epoca è per forza di cose molto omologante.”…

Non credi che la vita di oggi porti i giovani ragazzi a essere dei fantasmi senza idee proprie. Costretti a vivere omologati dal sistema? O sono loro stessi che si legano alle invisibili catene della mediocrità

La vita nella nostra epoca è per forza di cose molto omologante. E purtroppo anche l’ottusità è una cosa che viene coltivata sin dall’infanzia. Credo che sia una cosa che nasce da entrambe le posizioni: da una parte il pensiero preconfezionato, facile da “consumare” e dall’altra una predisposizione alla comodità plastificata di un quieto vivere dove è molto più facile farsi imboccare di pensieri precotti piuttosto che prendere una posizione personale, frutto di esperienze proprie e confronti concreti. Viviamo in mezzo a dei fantasmi ed esserlo è molto più facile di quanto si possa pensare. La nostra canzone “Phantoms” vuole mettere a nudo questa logica alienante.

Molte persone della scena punk-hardcore italiana (ragazzini soprattutto) sono troppo legati ai gruppi del passato che vengono spesso largamente elogiati e presi da esempio. Questo accade perché al momento non ci sono gruppi validi da supportare o perché i ragazzini di oggi si fermano a Sex Pistols o Ramones e non vanno oltre.

Beh, innanzitutto c’è da dire che il prendere esempio da gruppi “storici” non è una cosa negativa. L’errore (e orrore!) si ha quando si crede di poter e dover fare le cose allo stesso modo di 25 anni fa. Ti parlo della scena hardcore italiana della prima metà degli anni ’80, che ha fatto scuola e che anche oggi ha molto da insegnare, se non magari musicalmente (un tempo la tecnica non era importante come oggi, nonostante ci fossero esempi di abilità compositiva e tecnica da fare invidia a molti gruppi odierni) almeno a livello etico, con valori e principi di uguaglianza, di autogestione e via dicendo. Negli ultimi tempi molti dei gruppi portabandiera di quella scena si sono riformati, causa ed effetto di un nuovo interesse da parte dei più giovani. Quello che non va bene è il fatto di voler mitizzare e di conseguenza parodiare una scena che non si ha vissuto. Mettere su un piedistallo gruppi che magari non esistono più da parecchi lustri e non cagare completamente chi il punk, l’hardcore lo fa oggi. Sicuramente ciò che è stata la scena di quegli anni ha un importanza enorme, ma non per questo bisogna comportarsi come se fosse ancora il 1982. Conoscere la strada fatta, ma camminare in avanti. Di Sex Pistols e Ramones non ti parlerò: sono comunque gruppi importanti nel loro contesto, e spesso e volentieri tappe obbligate per chi si avvicina al punk… ma ciò che è l’hardcore oggi, nel 2007 non ha poi molto in comune con la trovata pubblicitaria di un negozio di vestiti inglese!

Brescia è una città abbastanza piccola se confrontata con Torino e Milano ma di gente che si dà da fare c’è né. E anche la partecipazione dei ragazzi è soddisfacente, come la descriveresti il vostro ambiente?

Come si dice, pochi (pochissimi) ma buoni! La nostra scena locale è piccola ma desiderosa di farsi sentire. C’è gente che ha a cuore l’hardcore in tutte le sue forme (che sia un concerto, un sostegno all’autoproduzione, una fanzine, un’iniziativa politicizzata) e devo dire che la gente con voglia di fare c’è! Forse avremmo maggior bisogno di “coordinarci” nelle varie attività, ma alla fine nel nostro piccolo ognuno ci mette del suo. L’ambiente bresciano lo descriverei con tre termini: semplice, sincero e in crescita. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma anche solo il fatto che la tua fanzine ci sta dedicando attenzione è un segnale di qualcosa che esiste. E che vuole esistere!

Per il vostro precedente lavoro avete fatto tutto da soli. Per quest’ultimo album invece avete chiesto aiuto alla cospirazione Diy italiana. Come mai questo cambio di posizione? Come vi siete trovati con i vari coproduttori, state legando con qualcuno in particolare?

Non si tratta di un cambio di posizione, ma di un’evoluzione. “The Right And The Wrong”, il nostro primissimo lavoro, nasceva su presupposti ben diversi del nuovo CD “Rest In War”. Ce lo siamo autoprodotto perché così ci andava di fare: non sentivamo tutto questo bisogno di trovare un’etichetta che ci lanciasse, come molti gruppi “panc e affini” oggi invece sognano… Nella nostra semplicità di ragazzi forse ancora un po’ acerbi sentivamo che quello era il modo di fare la nostra musica. Quel disco è davvero distante anni luce da dove saremmo andati a parare da lì a non molto. Anche la line up era parecchio diversa, però l’abbiamo fatto uscire come autoproduzione, crescendo e maturando anche sotto quell’aspetto: i primi scambi, i primi banchetti con la distro, i primi contatti con gente del circuito DIY sono partiti con quel CD. Anche questo ci ha aiutato a crescere come gruppo e come persone, entrando in contatto con l’universo dell’hardcore do it yourself. Per l’uscita di “Rest In War”, abbiamo lo stesso speso soldi di tasca nostra, ma con l’aiuto di ben 15 etichette DIY abbiamo potuto sostenere spese di produzione maggiori, ottenendo un disco a mio avviso ben registrato e ben presentabile. Inoltre la cosiddetta “cospirazione del do it yourself” permette una distribuzione capillare all’interno del circuito hardcore: in pochi mesi “Rest In War” è già distribuito in tutta Italia e anche all’estero. I coproduttori ci hanno dato fiducia e per questo saremo sempre grati a tutti in ugual misura. Alcuni di essi sono amici da parecchio tempo, altri lo sono diventati in occasione della coproduzione. Non c’è qualcuno che preferiamo, ognuno si è rivelato non solo un “finanziatore” (che brutta parola) ma anche un amico o una persona comunque con la quale possiamo avere affinità.

Parlando ancora di cospirazione Diy alcuni credono che il coproduttore si debba limitare a dare i suoi 50, 100 euri e tutto finisce li. Dietro alla coproduzione però c’è ben altro. Voi stessi che avete la Epidemic Records come vi rapportate con questa filosofia?

Epidemic Records è un progetto mio personale [Gab], anche se sia Kat che Cello chiaramente si interessano di ciò che combino in questo ambito. Personalmente mi piace seguire ogni uscita con la massima dedizione: non è solo una questione di soldi, quelle le lascio alle banche. Nell’atto pratico, per me coprodurre un disco significa innanzitutto promuoverlo (flyer, e-mail, visibilità sul banchetto e in internet, ecc ecc), poi scambiarlo con altre produzioni (in modo da infittire ulteriormente la distribuzione del disco) e infine far suonare i gruppi che ho coprodotto ogni qualvolta abbia la possibilità di inserirli in qualche concerto. Inoltre mi piace tenermi in contatto con i gruppi e conoscerli anche meglio dal punto di vista umano, non solo “musicale”: così sono nate delle belle amicizie. Sarà perché è stata la prima coproduzione, sarà perché sono gente in gamba, ma mi sento proprio di citare i Lucida Follia: ottimi amici, ospiti sempre graditi a casa mia e persone con le quali abbiamo molto legato sia come gruppo che a livello personale.

Giorni fa ho avuto uno scambio di opinione con il vicepresidente dell’associazione culturale “Fanzine italiane”. Secondo lui non serve più dividere il materiale cartaceo in Fanzine e Punkzine visto che il movimento controculturale punk è morto. Siete d’accordo con lui?

Sinceramente mi sembrano disquisizioni che lasciano il tempo che trovano. In ogni caso una punkzine è ancora diversa da una fanzine musicale generica, non prettamente nei contenuti, ma nell’impostazione. La punkzine in quanto tale non è solo un giornaletto autoprodotto che parla di musica, ma riporta su carta le mille sfaccettature che il punk (o ciò che da esso si è evoluto) ha per antonomasia.

Fin troppo spesso in questo ambiente non si dice quasi mai che una band “è originale”, che “sta trasmettendo un nuovo e odierno messaggio”, ma si parla sempre di cloni. E al limite si dividono le band in due categorie “se spaccano” o “se non spaccano”. Credi che l’omologazione sia un grosso problema?

Quando nacque l’hardcore non esisteva niente così. Dopo tanti anni è normale trovarsi davanti ad una specie di appiattimento. Tutto sta nel saper andare oltre e valutare quali sono le caratteristiche vere di un gruppo: ci sono gruppi che magari suonano da paura, con idee musicali sconvolgenti ma poi si rivelano dei personaggi decisamente tristi, delle mancate rock-star… e altri gruppi che magari suonano qualcosa che sembra tale e quale a questo o quel gruppo, però lo fa con la sincerità e l’impegno tipici del genuino spirito hardcore. L’omologazione musicale è pur sempre un’omologazione, ma la peggiore resta quella intellettuale!

Sento spesso dire che il punk-hardcore punta più sui contenuti che non nell’apparire. E per questo che prima di fare demo o cd molti gruppi iniziano a produrre una collezione infinita di magliette e altra robetta?

Ogni gruppo può fare quello che crede giusto coi propri soldi. Certo è molto meglio far uscire un disco, magari anche non impeccabile, ma che ti consente di veicolare suoni e pensieri piuttosto che un nome su una maglietta o un adesivo. Poi se proprio c’è gente che non vede l’ora di produrre mille e mille magliette allora dagli il nostro contatto: dopo l’uscita del CD siamo senza un centesimo e magari qualche volenteroso disegnerà una linea di magliette ultra fashion anche per noi!

Noti ancora un interesse per le zine cartacee. Quando credi conti in questi lavoro la veste grafica e l’accuratezza della carta da usare, del tipo di stampa ecc. Cosa importa maggiormente?

Sicuramente la cosa più importante sono sempre i contenuti. Poi anche l’occhio vuole la sua parte. La fanzine cartacea è per certi versi una forma d’arte, lontana dalla freddezza di un monitor, seppur pratico, sempre freddo. L’interesse per le fanzine cartacee esiste ancora e speriamo resti sempre vivo: una fanzine te la sfogli quando sei alla distro e non ti passa proprio, quando sei in giro a suonare, quando sei in furgone in tour (non è il mio caso, visto che sono il pilota ufficiale del nostro A-Team!) quando sei al cesso, quando magari sei a lezione e proprio non ti va di seguire, la puoi anche usare come mezzo per attaccar bottone con qualcuno/a, la puoi scambiare… queste cose puoi farle con una webzine?

Ultimamente ho notato che in catene multinazionali come qui a Torino Fnac, MediaWord e altre si vendano dozzine di cd, vinili, DVD punk-hardcore. Come vedi questa situazione? Mi è capitato più volte di notare che questi centri spesso abbiano più cd o vinili della band stessa, c’è qualcosa che non va?

Sinceramente non conosco la situazione di queste distribuzioni “di massa”: acquisto o scambio i dischi che ascolto (oltre a scaricare mp3!) ai concerti presso le distro o al massimo presso Kandiski 2, il negozio di dischi punk/hardcore/oi!/ metal che ha Ciano qui ha Brescia. Anche se devo essere sincero: non sono il suo migliore cliente, vero Ciano? In ogni caso c’è da tenere conto che molti gruppi o etichette hardcore (o presunte tali) si muovo in ambiti decisamente lontani dall’etica DIY, per cui mi stupisco fino ad un certo punto. Un consiglio ai nostri lettori: prestate più attenzione alle distro: i dischi costano poco e c’è sempre anche roba di una certa qualità!

Approposito di testi, negli anni 80 andava molto fotocopiare i testi e darli ai concerti (sicuramente i suoni allora erano discutibili). Però era evidente che il testo era importantissimo. Ora mi pare che il testo sia equiparato ad una chitarra, un basso, ossia ne rimane solo una melodia. E solo una mia impressione?

Sicuramente un cantato che ha una buona ritmica o un impatto particolare rende la canzone più accattivante, però anche se magari canti in inglese (come noi) la gente vuole sempre sapere se stai cantando cose interessanti o se semplicemente stai elencando la lista della spesa. La pratica derivante dal circuito anarco-punk degli anni ’80 dei flyer coi testi la trovo personalmente molto interessante e utile. Oggi i testi li trovi comunque con una certa facilità in internet (risorsa che comunque quasi tutti ormai hanno) e te li guardi solo se ti interessano realmente, non compariranno mai tra le tue mani sotto forma di volantino sgualcito trovato in tasca il giorno dopo il concerto! Però chissà, se avremo tempo e carta da far andare, magari li mettiamo anche noi su carta!

Hai mai l’impressione che nel punk-hardcore sia già stato tutto detto? (sia come musica, che come idee). Spesso nelle interviste, nonché nelle discussioni ai concerti, sembra che le domande e le risposte siano sempre le stesse, anzi, quando queste sono critiche spesso si ha poco coraggio e parte un auto censura che ancora oggi non capisco.

Non so, per quello che mi riguarda (e penso di poter parlare anche per Kat e Cello!) diffido sempre di risposte preconfezionate o di sentenze che si rivelano quasi una prassi. Se dico una cosa è perché la penso e la condivido. Come gruppo sicuramente non cerchiamo di accaparrarci consensi cercando di seguire quello che sembra il pensiero e l’opinione più gettonata in quel momento, ma esprimiamo un concetto comune a tutti e tre che può essere condiviso o no. Se qualcuno poi troverà il nostro messaggio valido, lo apprezzerà, ma credo anche che chi non si ritroverà in esso, saprà esprimere il suo disaccordo. Non penso ci sia tutta questa necessità di seguire il gregge nell’hardcore, almeno non in linea generale, poi le eccezioni ci sono sempre. Per quanto riguarda l’auto censura, per la mia/nostra esperienza posso dirti che fortunatamente ci sono ancora molte persone nella cosiddetta scena che sanno ancora obbiettare se si trovano in disaccordo. Che senso avrebbe tacere? Si vince qualcosa? Se nel circuito hardcore qualche gruppo fa qualche grave porcheria, la scena è ancora in grado di esprimere il suo disappunto… e questo credo sia un bene!

Ma se molto è già stato detto bisogna anche ricordarsi che è stato detto a suo tempo e sembra quasi che la macchina del tempo esista veramente. Siamo sommersi da reunion per scopi economici o per i famosi 5 minuti di gloria, philopat parla di punk su All Music, la Tvor viene intervista un po’ ovunque (solo piccoli esempi). Non avete la sensazione che ora come ora persino la “sperenza” di esser una minaccia fa ridere e per questo ci viene dato molto più spazio di prima su canali diciamo non undergroud. E solo una mia paranoia? O il punk ha perso quella carica che aveva?

Non credo che sia corretto prendere come “metro di minacciosità” le reunion di gruppi storici, Philopat o TVOR, senza voler per forza sminuire quanti appena citati. Credo che, come già detto, bisogna pensare che l’hardcore non è roba di vent’anni fa, ma è qualcosa che esiste adesso. L’hardcore è qui, oggi, ora, io e te. L’hardcore come minaccia è una cosa attuale, fresca e forse “più minore” delle cose che tu hai citato, ma sicuramente più concreta. Credo che il lavoro fatto da molti gruppi, etichette di autoproduzione, collettivi politici, situazioni autogestite in generale e di tutti i partecipanti a questa cosa chiamata hardcore non sia da sminuire all’ombra di un rinnovato interesse per gli anni ’80, ma sia da lodare e sostenere in varie forme per la dedizione e la sincerità con cui viene portato avanti. Il punk oggi ha ancora molto da dire, ma deve tenere presente del tempo in cui viviamo!

Come valuti quest’incredibile evoluzione che sta portando internet, riguardo il mercato musicale? Visto anche dal punto di vista di scene underground come la nostra

Secondo noi internet è una grande risorsa, ovviamente se utilizzata con criterio. Per chi fa i soldi con la musica è un grave danno: i programmi peer-to-peer permettono di scaricarsi l’inverosimile e alzi la mano chi non mai scaricato niente da internet! Per la musica che facciamo noi e tanti altri gruppi nel circuito punk hardcore, concepita su binari totalmente diversi rispetto a quelli dell’industria discografica ufficiale, internet è una possibilità per far conoscere il proprio disco con più facilità. Non penso che ci sia un grande danno per i gruppi hardcore DIY derivante dal download del proprio album, anzi: un album che viene scaricato da molte persone gira di più e alla fine ai concerti vieni “ripagato” dalla presenza di chi l’ha apprezzato. Quello che si spera è che vendendo qualche copia del proprio disco si riesca almeno a rientrare con le spese, ma non è internet che fa la differenza: chi vuole il disco “originale” se lo compra al banchetto, chi non lo vuole non lo compra. Se poi qualcuno lo trova online e se lo scarica e inizia a farlo girare, il gruppo si fa un nome, per cui alla fine il messaggio, la musica e il nome del gruppo arrivano a più persone. Il nostro disco contiene all’interno la dicitura “No Copyright”: meglio vendere qualche copia in meno ma avere la soddisfazione di sapere che c’è gente che se ne va in giro ascoltando il tuo disco e che viene a vederti ai concerti! Poi in alcuni casi chi apprezza il lavoro che fai riesce a mettersi da parte i soldi e te lo compra originale! In ogni caso internet è un’arma dalla nostra parte: uccide le grandi industrie musicali, gli avvoltoi delle major che impongono prezzi proibitivi e consentono invece a chi fa musica “dal basso” di poter diffondere il proprio lavoro, permettendo anche di promuovere una serie di produzioni musicali dal prezzo ben più accessibile e sicuramente più genuine di quelle che si trovano tra gli scaffali dei negozi che vendono musica di plastica!

Percorrendo vari km su e giù per tutto lo stivale, cosa vi è rimasto dentro il cuore? Sento spesso e volentieri sparlare di scene inesistenti, rapporti umani ridotti all’osso e antipatie, rivalità e sputtanamenti vari. Ora, io girando in questo ambiente da un po’ di anni sto crescendo, sto imparando, sto facendo amicizie nuove, alcune interessantissime, mi sta portando molto e scommetto che pure a voi. Cosa vi sta portando, oltre ovviamente a vedere posti sempre nuovi?

Beh, non abbiamo ancora macinato tutti questi chilometri per tutto lo stivale, ma ci stiamo attrezzando!

Sicuramente ogni serata e ogni situazione lascia un’impronta: non esistono due serate uguali, anche a livello di stati d’animo vissuti che lasciano qualcosa dentro. Si incontrano persone che prima magari hai sentito solo via e-mail, si vedono posti nuovi, gruppi con cui suonare e con i quali si viene poi a creare un rapporto di amicizia. Anche una semplice cena prima di un concerto diventa un’occasione per fare due chiacchiere e conoscersi. Chi sparla dell’inconsistenza della scena dovrebbe almeno fare qualcosa per crearla, invece di lamentarsi e basta. Oppure se ne stia zitto e accetti quella che per lui è la realtà. In certe situazioni è così difficile creare qualcosa che può essere una scena locale che il sudore e l’impegno sono incommensurabili e certi chiacchieroni dovrebbero provare almeno a vivere una di queste difficili situazioni prima di sentenziare. Per quello che ci riguarda, le antipatie le rivalità e gli sputtanamenti li lasciamo ad altri ambienti o al massimo a qualche eroe della tastiera che preferisce dire cosa ne pensa degli altri nascondendosi dietro un monitor. Penso che bisognerebbe concentrarsi di più sulle affinità che sulle differenze: così facendo io personalmente ho conosciuto tantissime persone interessanti con le quali ho scoperto di avere in comune più di quanto si potesse pensare, oltre a stringere un rapporto entro il quale confrontarsi su differenti posizioni.

Siamo veramente alle fine adesso. Lancia un messaggio ai lettori e ringrazia chi vuoi.

Ovviamente ringraziamo voi, cari Perno e Zora, per l’occasione che ci avete concesso con questa intervista! Ringraziamo anche tutti quelli che ci hanno dimostrato affetto e fiducia e tutte quelle persone che si interesseranno a noi in futuro! Il messaggio che lanciamo è sempre quello: “SUPPORTA LA TUA SCENA – NON UCCIDERE L’HARDCORE”.

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