“Distorti e Invendibili”: intervista a Cristina Danini, autrice del libro che racconta la Torino Hardcore degli anni 80

DISTORTI E INVENDIBILI è il primo libro di Cristina Danini – Omegna (VB), classe 1994. L’autrice ripercorre la storia dell’arrivo del punk hardcore in Italia, approfondendo la scena torinese fiorita negli anni 80 che prenderà poi il nome di Torino Hardcore. Attraverso le parole di Cristina e le testimonianze dirette da chi quella scena l’ha vissuta visceralmente, veniamo trasportati indietro nel tempo in quella Torino delle lotte operaie e dei fermenti culturali. Negazione, Declino, Indigesti e tanti altri. Ne è uscita una chiacchiera interessante e sincera.

  • Ciao Cri, innanzitutto grazie di essere qua con noi di Punkadeka. Parto con la domanda di rito ma che vorrei rendere un po’ provocatoria: raccontaci di te e come ti è venuta l’idea di scrivere un libro sull’arrivo del punk e dell’hardcore in Italia e in particolare a Torino? Una ragazza giovane che parla di una scena hardcore fiorita negli anni 80 potrebbe fare storcere il naso ai puristi della stessa. Qual è il tuo rapporto con questo tipo di musica?

Ciao e grazie a voi per l’intervista! La storia è molto poco poetica, ma un po’ buffa. Anni fa ho visto il documentario Italian Punk Hardcore 1980-1989 (https://www.youtube.com/watch?v=g2idFNnFhjM), fra i vari intervistati c’era Silvio Bernelli. Io l’avevo avuto come insegnante alla Scuola Holden, ci aveva fatto lezione su Bolaño e Paul Auster; il mio cervello ha fatto un po’ corto circuito cercando di far combaciare l’immagine dello scrittore in maglioncino con quella del bassista hardcore. Quando l’ho contattato per intervistarlo, ho scoperto che attualmente insegna yoga. Capire come si arrivi dall’hardcore allo yoga mi sembrava un’ottima motivazione per scrivere, ahahaha! Ma a parte le battute, ad affascinarmi è stata la cultura e la filosofia dello spirito hardcore: per certi versi, molto più della musica in sé era il pensiero che mi interessava studiare. Mi sono poi concentrata su Torino perché ci ho abitato per otto anni e sentivo di conoscerla, almeno un po’.

Quanto all’età certo, sono nata nel ‘94 e la scena non l’ho vissuta. E certo, qualcuno ha storto il naso, ma ai musicisti di allora, al contrario, ha fatto molto piacere che a distanza di anni qualcuno che negli anni ‘80 non c’era volesse studiare la loro storia. Figurati che un annetto fa, raccontando del libro, una ragazza che non conoscevo (del 2002) mi ha detto di avere una frase dei Negazione tatuata sulla schiena…Quindi non credo l’età abbia un gran peso in questo senso.

  • Ci racconti della scelta del titolo “Distorti e Invendibili” e del suo significato?

Il titolo originale era Punk is (not) dead?, ma non mi ha mai convinta troppo e anche altri mi hanno fatto notare come fosse un concetto trito e ritrito. Distorti e Invendibili si ispira a una frase di mungo.declino e mi sembrava racchiudesse un po’ tutto: una musica volutamente sporca, volutamente fuori da qualsiasi circuito di vendita ufficiale, ma anche una generazione di ragazzi che in quella musica e in quel particolare ambiente si rispecchiava.

 

 

  • Torino è una città eterogenea e che nel corso degli anni ha avuto diverse vesti, sia che si parli del centro o delle sue periferie. È stata la città delle proteste e delle lotte operaie, della FIAT e degli strascichi dovuti alla chiusura dello stabilimento, dei Savoia, dei fermenti culturali, dei centri di aggregazione e dei collettivi anarchici. Il rapporto con questa città sembra quasi essere di odio amore per chi l’ha vissuta visceralmente: è una città che ti ferisce ma da cui non riesci mai ad andartene completamente. Declino, Negazione, Nerorgasmo, Blue Vomit con le loro canzoni di protesta, di ribellione ma anche di dolore e nichilismo hanno esportato Torino in Europa e nel mondo. Pensi che una scena di questo tipo potesse nascere in questo modo anche in un’altra città o è stata così proprio perché nata a Torino?

No, credo che solo a Torino potesse nascere una scena del genere. Senza nulla togliere alle altre città, che certo dal punto di vista del “fenomeno” hardcore hanno avuto un proprio peso e hanno tutte una storia da raccontare. Ma solo Torino poteva dar vita a una musica e un pensiero così, che come giustamente dici è rabbia e tristezza, amore e odio. È l’odore delle rotaie e dell’inquinamento della FIAT, la luce dei palazzi reali che si specchia negli edifici malandati. Senza i contrasti di Torino, non avremmo avuto una scena hardcore così. È una città che io per prima ho amato, odiato, lasciato senza rimpianti, ma con quel giusto di malinconia. È profondamente sabauda e al tempo stesso anarchica e operaia; è fatta così, e a questa sua natura dobbiamo non solo la sua influenza sulla scena hardcore mondiale, ma anche molti altri fermenti culturali e sottoculturali nati lì.

  • La Torino Hardcore ha lasciato la sua impronta sulla scena odierna? Pensi ci siano band o collettivi in Italia che ne abbiano raccolto l’eredità e l’abbiano portata avanti a modo loro o è un periodo circoscritto e finito là, come poi sostiene anche Silvio Bernelli [musicista e autore de “I Ragazzi del Mucchio”]?

Sono fondamentalmente d’accordo con Silvio. Se analizziamo la faccenda solo dal punto di vista musicale, sicuramente ci sono gruppi o collettivi più o meno costituiti che continuano a suonare quella musica lì e farlo al meglio. Così come continuano a esistere centri sociali e luoghi molto simili a quelli su cui la scena hardcore anni ‘80 è cresciuta. Ma se parliamo della Torino Hardcore dal punto di vista filosofico e culturale diciamo, non credo che sia sopravvissuto così com’era. Non è la sua natura. Un pensiero che è rottura, protesta e cesura netta col passato non può che mutare col tempo: se il prodotto del pensiero non mutasse, si troverebbe a essere fossilizzato e in continuità col passato che voleva rinnegare.

  • Nel tuo libro delinei una mappa dei luoghi cardine della Torino Hardcore che oggi non ci sono più, fatte poche eccezioni. E alcuni di essi erano in pieno centro. Perché oggi non succede più e molto spesso questi luoghi sono isolati in zone industriali? È colpa esclusiva della gentrificazione o secondo te c’è dell’altro?

Credo che anche per questo sia da tenere in considerazione di che città stiamo parlando. Negli anni ‘80 il centro di Torino non era come adesso, nemmeno a livello di perimetro e quartieri. Praticamente tutta Torino è cambiata in questi quarant’anni, ma il centro in particolare: i Murazzi, così come Vanchiglia, attorno a cui orbita la scena hardcore, ora sono geograficamente e culturalmente vissuti come il cuore di Torino, ma erano zone vissute da molti come periferiche. Quando mi sono trasferita in Vanchiglia, nel 2013, un amico di mio padre nato e cresciuto in collina gli ha chiesto se fosse pazzo a lasciare una figlia femmina, sola, nel quartiere delle “fumerie”. Si era perso qualche anno mi sa!

Comunque credo anche, e soprattutto, che più che con la gentrificazione abbia a che vedere con quelli che sono vissuti  dai giovani come luoghi di ritrovo. I ragazzi non fighetti, per dirla chiaramente. Se il centro propone pressoché solo luoghi di ritrovo a pagamento, o bar molto cari, chi non ha voglia o modo di frequentarli (ma anche chi, semplicemente, non sente di appartenere a quel gruppo sociale), si sposterà altrove. A volte sono gruppi di ragazzi che si sentono diversi, a volte no, oggi come negli anni ‘80. E oggi come negli anni ‘80 spesso è dai non-fighetti che nasce una sottocultura, una rottura…Più che un fattore geografico, si tratta di sentirsi fuori posto e cercare un rifugio. Fisico ed emotivo.

  • Perché oggi non esiste più una cosa del genere? Faccio una premessa. Se ci pensi è pazzesco, prima si organizzavano tour e concerti tramite passaparola, cabine telefoniche e lettere spedite, non c’erano i cellulari né tantomeno internet. Si partiva senza quasi sapere dove si andava o se la data e il locale esistessero davvero ma i gruppi giravano Italia e Europa e alcuni addirittura il mondo, facendo sold out ed esaurendo dischi e merch, sempre citando band come Indigesti, Negazione e Declino. La gente si spostava in massa anche non conoscendo la band ma solo per averne visto l’adesivo sulla chitarra di un’altra band che gli era piaciuta. Ora c’è Spotify o YouTube e puoi ascoltare tutto l’ascoltabile in pochi click. I social e il navigatore hanno reso tutto più semplice: la comunicazione è immediata, gli spostamenti più facili, ci sono gli eventi sponsorizzati, le condivisioni…eppure una partecipazione e un fermento del genere non si vedono più da tempo in Italia, se non rare eccezioni. Perché secondo te? Tecnologia e social = pigrizia e meno curiosità? Troppa scelta?

Proprio recentemente mi hanno fatto riflettere su come la scena punk europea e mondiale fossero un network primordiale. Le comunicazioni erano più lente, via telefono o posta, ma si era creata questa rete relazionale di amicizie che superavano confini, barriere linguistiche e che oggi possiamo dire ha resistito alla prova del tempo.

Non credo però che la colpa sia della tecnologia se le cose sono cambiate. Anzi, a dirla tutta ho sempre odiato questo ostracismo verso i social mi sa un sacco di “Ai miei tempi i ragazzi erano diversi”. No, i ragazzi non sono cambiati così tanto, è cambiato solo il loro modo di comunicare fra di loro e col resto del mondo, come è giusto che sia. Ora c’è più scelta forse, ed è innegabile che tutto è a portata di click gratuitamente, non serve attraversare mezza Italia per sapere come suoni un gruppo, così come è più facile prendere un aereo…Sicuramente, però, organizzare eventi è diventato più difficile a livello burocratico, anche nei centri giovanili (e parlo per esperienza, dato che sono cresciuta in un centro di aggregazione di provincia e ora lavoro nel settore culturale). Abbiamo gusti più settoriali, forse. Forse siamo più cagacazzo (se si può dire) o pigri, ma non darei la colpa ai social. In realtà una risposta alla tua domanda non ce l’ho, ho solo ipotesi!

  • Mi è piaciuta molto l’interpretazione della parola Punk da parte di mungo.declino: Punk è una parola contenitore e al suo interno si può raccogliere ciò che si vuole. È una parola ricca di declinazioni, interpretazioni e sfumature. Punk è prima di tutto attitudine, e la puoi avere anche in giacca e cravatta. Patti Smith definì Mozart un punk.
    Sei d’accordo? Io personalmente sì, per me, ad esempio, Liam Gallagher è un punk in questo senso ahah

Sono d’accordissimo e spero che la cosa emerga anche nel mio libro. Su Mozart in particolare, perché come buona parte dei clarinettisti lo adoro. Ai suoi tempi, ha scardinato qualunque struttura musicale e costruzione teorica sull’Opera. Trovo che la definizione di mungo.declino non si discosti molto da quello che nella stessa intervista dice anche Silvio [Bernelli]: il punk cambia forma e in questo senso è un contenitore per manifestazioni diversissime. Marco Philopat sostiene che la trap sia erede del punk, per dire. E personalmente voglio credere che sia così: punk non è UNO stile, UN genere musicale, UNA sottocultura. È un’idea del mondo e un modo di starci.

  • È una domanda difficile, lo so, ma che mi piace porre ogni tanto a chi intervisto: dovessi scegliere l’album da portare sulla famosa isola deserta, quale sarebbe?

Oddio, non sono brava in questi giochi ahahaha! Forse la colonna sonora completa di Harry Potter. Intanto perché è lunga; poi perché trovo che racchiuda musica classica e composizione moderna, sviscera i temi portanti e li adatta alle situazioni narrative…È una musica che puoi vedere.

  • Qualcosa che non ti ho chiesto ma che ci tieni tantissimo a dire?

Una cosa forse stupida: questo libro è stato pubblicato da un editore particolare, che conferma il contratto solo dopo che l’autore è riuscito a prevendere un tot di copie. Testa il mercato, diciamo. Da lì in poi è tutto normalissimo: vari editing del testo, ufficio grafica, nessun costo di stampa. Non è autopubblicazione. La prima parte è stata impegnativa, ho presentato il libro in vari posti, anche fuori dal mondo, e ci vedo un po’ in continuità con le cassette e le fanzine autoprodotte…Non so, mi piace vederci una lontana affinità.

Grazie Cri per la tua disponibilità e in bocca al lupo per il tuo libro!

Link all’acquisto: DISTORTI E INVENDIBILI su Bookabook

(Foto scattata al Punk Funk Record Shop Music Bar, Palermo)

Per approfondire: TORINO HARDCORE [Documentario] https://www.youtube.com/watch?v=XRagl3fYKpg

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