THE DIVINE BROWN: How the Divine Brown Saved rock’n’roll

Il punk prima di essere ingabbiato attraverso gli anni in etichette e sottogeneri era un libero ed oltraggioso fluire di energia incontrollata che non osservava alcuna estetica ortodossa, come era giusto che fosse…un esempio per tutti, il più fulgido, Richard Hell ed i suoi Voidoids: sketches disarticolati di esistenze metropolitane schizoidi, materializzati da corde vocali psicolabili e manici di chitarra in perenne paranoia. Poi, da quei lontani fine anni ’70 americani questa libertà mentale ed artistica si è andata sgretolando pian piano senza che ce ne accorgessimo e si sono creati ghetti e tribù punk ! Fortunatamente negli ultimi tempi ho avvertito forti segnali di una controtendenza…soprattutto da bands americane che incidono per labels come Estrus, In The Red, sembra che vogliano riappropriarsi di una bastarda energia cruda e primitiva che sfrontatamente mescola punk, garage, rock &roll, free-form. Ma a ben guardare questa tendenza si sta affermando anche nella vecchia Inghilterra che pullula da sempre di piccole etichette punk vecchie e nuove attivissime : una di esse, di recente scoperta per chi scrive è l’ Artrocker Records, di stanza a Londra. Due sue recenti produzioni: Ignition dei quattro The Hot Wires e How The Divine Brown Saved Rock’n’Roll dei The Divine Brown : il sound delle due bands inglesi è letteralmente infarcito di richiami ad un glorioso passato proto-punk dall’appeal soprattutto americano, sintomatico di quella spiccata tendenza di cui parlavo all’inizio. Le intenzioni bellicose e sublimanti dei Divine Brown sono chiarissime sin dalle loro parole: “ Brothers and sisters…find your salvation through extreme amplification…the spirit of street rock’n’roll “; sembra un proclama degli esplosivi Mc5 quando infiammavano i palcoscenici di Detroit. A questo spirito barricadero si ispirano brani ultrasaturi d’energia come Kranked Up Really High, Divine Detonation, Get Some Action, I Got The Fire con cori da stadio che ricordano gli americani proto-punk Dictators ma anche le caciarone bands proletarie punk ed oi Inglesi degli anni ’70 come Sham ’69, Cockney Rejects, Angelic Upstarts. The Hot Wires sono forti prima di tutto di un front-man eccezionale, Billy Nameless, che suona anche tastiere acido-luminescenti, un incrocio vocale perverso e sguaiato tra Richard Hell e Pete Perrett degli Only Ones, ma lo stesso sound degli Hot Wires è un rumoroso e sghembo ibrido punk metropolitano tra il recupero di una perduta estetica ‘Blank Generation’ e certe caustiche esternazioni prol-art degli inglesissimi Fall di Mark Smith ( Destroyer ) . The Hot Wires ripropongono in brani quali Big City, I Am Crime, Car Crash #1, Kill The KKK For Inner Peace, Motion Sickness, Burning Flag, NY Jinx un’estrema esasperazione suburbana, la stessa che ha prodotto le pagine più appassionanti del punk&roll . Dimostrano altresì una forza espressiva visionaria non indifferente, come nella finale tastieristica Year Of The Dragon, uno squarcio penetrante di disperazione esistenziale come non mi capitava di ascoltare da tempo. Ignition è un disco davvero rappresentativo della new punk-wave che si respira a Londra negli ultimi tempi.

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