VIBORAS: Bleed

Nel 2018 i Viboras tornavano a far parlare di se con l’album Eleven.

A circa un anno di distanza eccoli sfornare un nuovo lavoro (il quarto), intitolato “Bleed”.

L’artwork del cuore sanguinante raffigurato sulla copertina del disco e disegnato da Irene (cantante del gruppo, ma anche disegnatrice e tatuatrice) rappresenta il perfetto biglietto da visita che la band lombarda vuole mostrare. Difatti, attraverso i sette brani presenti, “Bleed” ci svela un lato più intimo dei Viboras, ma raccontato sempre con quel punk-rock che da anni contraddistingue Irene e soci.

L’EP prodotto con la collaborazione della Black Dog Booking Agency, si arricchisce per le diverse collaborazioni con Olly Riva (Shandon), Andrea Rock (Andead), Luca Crummy (Crummy Stuff) e Fabio Gallo (The Boogie Spiders).

Si parte con l’infiammata “Bleed”, in cui l’assolo iniziale di Sal e il ritmo sempre più incalzante alla batteria di Ga (nuovo batterista) aprono alla voce di Irene e ai duetti con Luca Crummy (Musicista della scena punk nazionale con i suoi Crummy Stuff, con i PAY e i Los Fastidios). La canzone, la più intima e dura di tutto l’ep, e che dà appunto il titolo all’album, ci apre gli occhi davanti alla realtà della vita in cui per ottenere qualcosa devi insistere, andare oltre i normali limiti e dare molto più di quello che normalmente dai perché ciò che sei, ciò che fai non è abbastanza: è là che inizi a “dare il sangue”, più di quanto puoi dare per rendere il tuo futuro meglio del passato. Ti può portare a rimanere dissanguato, ma vai avanti lo stesso.

Segue “I can too” canzone dall’anima più rock, che si arricchisce della partecipazione di Fabio Gallo dei Boogie Spiders. Dedicata a chi si sfoga su di te e sbraita e ti urla in faccia senza calcolare che anche tu lo puoi fare e magari anche di più, ma solitamente è per una tua scelta quella di stare calmo.

La terza traccia (Don’t worry about me) è di sicuro quella che mi ha preso più di tutte, tanto da ascoltarla in loop senza mai stancarmi. L’attacco con alla voce Andrea Toselli degli Andead è veramente fantastico e sembra quasi di ascoltare una B Side dimenticata dei Social Distortion. Street song melodica e carica di sentimento acquista ancora più fascino quando dalla seconda strofa Irene ne prende la guida alla voce, prima di iniziarne a dividere la leadership con Andrea. La collaborazione tra i due è davvero stupefacente, le voci che ben si miscelano in questo sound ne fanno una vera e propria perla del rock, di cui non ci stancheremo facilmente. Ascoltatela!

Nel quarto pezzo, Olly Riva storico leader degli Shandon presta la sua voce per “Sick of it all” la canzone più arrabbiata dell’ep, un pezzo che non molla la presa dall’inizio alla fine e in cui le due voci si incastrano più incazzate che mai per urlare quella rabbia e quella frustrazione che ti sale quando non c’è la fai più, quando sei stanco di tutto. Una canzone a cui Mr. Riva, morso dalle vipere, da quella cattiveria che di certo non ti aspetti da lui.

Il quinto pezzo “Save your Prayers” (a mio avviso uno dei migliori pezzi dei Viboras) e il sesto “Much to Say” sono puro Vibostyle. Nessuna partecipazione esterna se si esclude quella di Silvia Zanin in arte La Zebra che ha collaborato alla registrazione di tutto l’album come bassista, prima dell’arrivo di Giulia. Due pezzi, quindi, senza influenze e senza contaminazioni di alcun genere che mettono in luce il meglio dell’essenza dei Viboras: canzoni aggressive, con ritornelli più melodici, contraddistinte da quella voce “sporca, dura, potente” in grado di graffiare e lasciare il segno. Come nella precedente “Don’t worry about me”, le note più cupe e profonde ci focalizzano l’attenzione su quelle volte che ci si trova a proprio malgrado a dover (o voler) dare un addio, e non importa che sia triste e sofferto o con un fondo di sarcasmo o risentimento, ti lasceranno un segno indelebile.

Chiude l’album “Via di Qua” (un remaster di una canzone del 2009). Uno dei pochi pezzi dei Viboras cantato in italiano ma pur sempre caratterizzato dall’immancabile aggressività ed energia che ne contraddistingue il sound. Un pezzo che mette in risalto le capacità della band di mettersi alla prova con testi in italiano che spesso presentano una struttura più complessa di quella in inglese.

In conclusione posso dire che l’album è davvero ben concepito, non va a offuscare il recente “Eleven” uscito poco meno di un anno fa, e ci mostra una band in piena salute, tornata attivamente a far parlare di se dopo anni di silenzio e in grado di superare anche un doppio cambio di formazione. Una band la cui vena artistica non sembra affatto esaurirsi, e a cui piace sperimentare senza mai venir meno alla propria essenza.

Che altro aggiungere, se non quella ascoltarvi quest’ultimo ep e non perdevi l’occasione di vederli dal vivo.

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