CHUCK RAGAN

…”Credo di non potermi sentire più fortunato di così: tutti i nostri fans ci hanno supportato, hanno apprezzato, e hanno preso questo genere di musica in modo molto positivo.”…

Cominciamo parlando di come sta andando il tuo tour europeo

Oh man! Sta andando meravigliosamente! Siamo qui da circa una settimana e mezzo  gli show stanno andando bene, abbiamo ottenuto un’ottima risposta dal pubblico…

Siamo un po’ stanchi ma ce la stiamo godendo, oggi abbiamo passato una fantastica giornata a Pisa, abbiamo mangiato benissimo e camminato sotto la pioggia…è fantastico!

Cosa ti ha spinto a cominciare a suonare canzoni acustiche, più vicine al folk che al punk degli Hot Water Music?

 Io suono questo genere di cose da un sacco di tempo, anche da prima degli HWM, e i primi tempi molti pezzi della band erano scritti con una chitarra acustica.

Il fatto è che suonare in acustico dà tutta un’altra emozione rispetto all’elettrico, fa quasi paura: sei lì, da solo, in piedi su un palco e puoi sentire benissimo il pubblico che canta le tue canzoni.

È una sensazione stupenda!

E i tuoi fans cosa pensano di questa tua scelta, di questo cambio di stile?

Credo di non potermi sentire più fortunato di così: tutti i nostri fans ci hanno supportato, hanno apprezzato, e hanno preso questo genere di musica in modo molto positivo.

Sinceramente, io non mi sarei aspettato niente di tutto questo: la mia intenzione era solo quella di registrare qualche pezzo che avevo scritto e farlo sentire un po’ in giro, ma poi il responso della gente è stato così caloroso che io, davvero, non potrei sentirmi più fortunato!

Sono felice di fare tutto quello che posso per continuare a far sentire al mio pubblico la musica che vuole sentire.

Quali sono le differenze, le sensazioni che senti suonando in acustico anziché in elettrico?

Per me non c’è molta differenza anche perché il mio modo di scrivere è sempre stato questo: in acustico.

L’unica grande differenza è che la chitarra che suono è molto più leggera (ride), mi muovo molto meno sul palco e sono di gran lunga meno affaticato!!

No, seriamente, suonando in acustico provo la stessa energia, la stessa passione che provo suonando in elettrico.

Ispirandomi alla tua canzone “Do you pray” ti chiedo: tu preghi?

Se io prego?? (sorride)

Si, lo faccio, ma a modo mio, non quello che la gente automaticamente intende per “pregare”.

Non posso, quindi, definirmi del tutto una persona religiosa ma ho il mio modo di rafforzarmi, di farmi coraggio nei momenti difficili.

Per me pregare significa meditare, guardarmi dentro, capire cosa sto facendo di giusto e cosa di sbagliato, perché in un determinato momento mi sento fragile e cosa posso fare per tornare a sentirmi forte.

Non mi sento realmente parte di nessuna religione organizzata, non ha mai funzionato con me, ho quindi semplicemente trovato la strada giusta che mi permette di sentirmi sincero, onesto, e faccio di tutto per non smarrirla mai.

Qual è il significato del titolo del tuo album “Feast or Famine” (banchetto o carestia)?

 Prima di diventare un musicista io ero un operaio, costruivo case, e “feast or famine” è proprio riferito alla mia passata professione: a volte le cose andavano bene, avevo più lavoro di quanto ne potessi fare, dovevo svegliarmi presto alla mattina e lavorare duro, altre volte invece andava diversamente e mi riducevo a dover mangiare solamente fagioli per mesi interi…e così è come va anche la vita!

Anche quando sei un artista, in particolar modo un artista indipendente, è dura tirare avanti per la tua strada e fare le cose a modo tuo può diventare davvero difficile.

“Feast or Famine” è quindi come io vivo, come la maggior parte della gente vive, un po’ lo stile di vita della classe lavoratrice.

 

Sul booklet del tuo album hai scritto di supportare le etichette indipendenti e i negozi locali. Quanta importanza pensi che abbiano al giorno d’oggi?

Credo che sia cruciale che la gente vada avanti a fare le cose a modo proprio perché continui ad esserci più possibilità di espressione e più modi per farlo.

Questa è una cosa che le major tendono a trascurare perché loro si occupano principalmente di vendere un prodotto.

Con questo non sto attaccando le major, perché so come lavorano e lo fanno davvero bene: è comunque gente scrupolosa che sa svolgere la propria professione e si preoccupa per gli artisti, per le bands; ma si sta parlando comunque di un mondo dove alla base di tutto ci sono gli affari e lo scopo è sempre quello di fare soldi, più soldi.

A un’etichetta discografica, invece, dovrebbe importare solamente che la musica di un artista sia buona musica senza domandarsi chi sia, cosa faccia o se ha centinaia di fans oppure neanche uno!

Per questo penso che le etichette indipendenti siano importanti: perché loro ci mettono il tempo, ci mettono i soldi per realizzare qualcosa in cui credono, ma questo non succede mai abbastanza spesso e, di conseguenza, là fuori ci sono migliaia di artisti validi che rimarranno sempre inascoltati.

Un altro motivo per cui ho scritto di supportare i negozi locali è l’avvento dell’era digitale.

Il digitale ha aiutato la musica a propagarsi in modo esponenziale e le bands a poter fare molto di più e molto più in fretta.

Io e te, ad esempio, potremmo formare una band qui, in questo momento, registrare una canzone, accendere il portatile, metterla su internet e in un attimo tutto il mondo potrebbe ascoltarla.

D’altra parte, l’era digitale ha ammazzato la musica, le vendite sono crollate, ormai nessuno va più nei negozi perché è facilissimo trovare un disco sul web e scaricarlo direttamente sul proprio computer.

Pensi che la scena indipendente sia stata importante per la tua carriera?

Assolutamente!…e sono certo che non avrei voluto andasse in nessun altra maniera.

Ancora una volta sembra che io stia parlando male delle major, ma non è così! (ride).

In tutti questi anni ho visto gente firmare con le major e ritrovarsi a suonare negli stadi giusto appena dopo aver finito di registrare il disco, e sono felice per loro se sono soddisfatti di quello che hanno fatto e se hanno guadagnato un sacco di soldi.

Mi dispiace, però, per tutto quello che si sono persi; non lo dico perché sono invidioso, ma lo dico ripensando a tutti gli anni che ho passato a suonare con i miei amici, magari in posti che sembravano topaie, mettendo insieme i soldi per comprare da mangiare, chiedendo ai concerti se qualcuno ci avrebbe ospitato per la notte e sapendo che, chiunque avrebbe alzato la mano, sarebbe diventato uno dei nostri migliori amici.

Mi vengono i brividi a ripensarci! Perché sono esperienze bellissime e mi rendo conto che non sapevamo bene cosa stavamo facendo, semplicemente stavamo vivendo la nostra vita nel modo in cui più ci andava!

Tornerai presto a suonare con gli HWM in Italia?

Mi piacerebbe moltissimo anche perché amo l’Italia!

Ad ogni modo, c’è la possibilità che torneremo a suonare verso la fine di quest’anno, il prossimo inverno; lo dico anche se ancora non abbiamo niente di fissato, Jason Black adesso sta suonando con i Senses Fail ed è molto impegnato, Chris Wollard ha appena finito di registrare un eccezionale disco da solista intitolato “The Ship Thieves”, io stesso sarò ancora impegnato con il mio tour.

Quindi tutto ciò che posso dirvi è che mi piacerebbe tornare, solo non so quando, ma faremo di sicuro tutto il possibile!


 

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