BRODWAY CALLS: Sad In The City

I Broadway Calls sono una di quelle band di nicchia che hanno il loro zoccolo duro di fans che li venera ma che non sono mai riusciti a fare il grande salto. Non ho paura a dire che negli ultimi 15 anni sono state una delle migliori punk rock / pop-punk band della scena. Anzi, se mettete a confronto la discografia del medesimo periodo di Green Day e Broadway Calls, vedrete come il terzetto di Portland ha pubblicato dischi di una spanna sopra di Billie Joe e soci.

I ragazzi tornano alla carica dopo una pausa di ben 7 anni dal loro ultimo album “Comfort/Distraction” e quindi l’attesa (e relativa paura) era tanta. Li avevo lasciati in un polveroso sottoscala di un locale a Roma dopo un live davanti a 15 persone (si, le avevo contate perchè non mi capacitavo di cotanto scempio). Loro se ne fregarono e fecero uno show di quasi un’ora che posso annoverare tra i live piu belli abbia visto in vita mia (e di concerti posso dire di averne visti!).

Posso dire dopo vari ascolti che la mia paura era assolutamente ingiustificata in quanto anche questa volta i Broadway Calls non sbagliano un colpo e rilasciano il loro quarto gioiellino. “Sad in the city” è tutto quello che si può richiedere ad un disco punk rock: grinta e melodia uniti a ritornelli che vi si stampano in testa dal primo ascolto (non stupitevi se vi ritroverete a canticchiare per tutto il giorno “always on the run” o “sad in the city”).

Il disco è stato prodotto da Scott Goodrich che è lo stesso anche dell’ultimo disco dei Direct Hit, una produzione che decisamente esalta i pezzi e le melodie del disco. Molta attenzione la band la pone anche ai testi molto curati e profondi ma senza scendere mai in discorsi apertamente politicizzati (l’album si apre con“If my country collapses / Can I crash on your couch? / Think I’m hyperbolic?) toccando altresi temi personali per la band come il crescere vicino ad un impianto nucleare (“Radiophobia”) e sentimentali ma non smielati (“Sad in the city”).

Passaggi a vuoto sinceramente non ne ho trovati nel disco che scorre via nei suoi 35 minuti. L’album si conclude con la melancolica “Went dyin” che spezza il ritmo e accompagna l’ascoltatore alla chiusura del disco.

E’ questo il miglior disco dei Broadway Calls? Probabilmente no perchè sono tutti fottutamente splendidi. Spesso mi chiedo come mai questa band non sia mai riuscita a sfondare nonostante la qualità prodotta; penso che buona parte della colpa stia in una scena ancora troppo ancorata a vecchie cariatidi che si trascinano in giro e ad un pubblico che preferisce poseur e tatuaggi a chi invece produce musica genuina di qualità.

Ah dimenticavo, il disco è uscito su Red Scare Industries: ma quanto è fico il loro roaster? Grandi!

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