PUNKADEKA FESTIVAL 25th Anniversary

SUN EATS HOURS

Ecco ritornare sulla scena quella che lo scorso anno fu consacrata come “Miglior Italian Punk band all’estero”.  “The last ones” è la loro ultima fatica discografica in cui i 5 ragazzi vicentini dimostrano la loro maturità e talento. Quale migliore occasione di questa per incontrarli e bersi un bicchiere di rosso in buona compagnia. Intervista ai Sun Eats Hours.

-E’ sempre un piacere per me venire a trovarvi e questa volta soprattutto per parlare della vostra ultima fatica discografica, “The Last Ones”. Incominciamo proprio dal titolo dell’album, cosa intendete voi per “The Last Ones”?

 

Lore: “The Last Ones”. Avevamo intuito che il titolo avrebbe creato un certo interessamento, ed era esattamente ciò che volevamo, per poter introdurre nel modo giusto i discorsi riguardo ad un album “complesso”.

Ce ne sbattiamo del fatto che possa essere commercialmente “controproducente”. Essere “ultimi” nella società moderna significa spesso rappresentare forme di pensiero articolato,ricerca di profondità, di verità dimenticate. Spesso chi ha amore verso le potenzialità umane e vuole invertire le tendenze, chi ha il desiderio di un “pensiero illuminato”, viene additato come “outsider”, colui che è ai margini della società moderna.

“Gli ultimi” sono quelli che non sopportano l’inerzia delle menti e dei cuori. Gli ultimi s’ incazzano verso le pigrizie delle proprie  generazioni e sono coloro che difficilmente trovano spazio nelle comuni mode odierne. Spesso non si sentono a proprio agio nelle scuole, nelle discoteche. Noi ci siamo spesso sentiti così in questi ultimi anni, ecco quindi uno dei motivi per cui “The Last Ones” era il nome adatto per questo nuovo lavoro.

 

 

-Ogni vostro album ha segnato un cambio di line-up. Con “Will” Lemma entra al posto del vecchio bassista, in “Tour All over” Boston che si aggiunge come seconda chitarra e ora in “The Last Ones” Byron “The Huge” che lascia la band. Data la vostra giovane età la cosa stupisce alquanto. A cosa sono dovuti tutti questi cambiamenti?

 

Lore: In otto anni di Sun Eats Hours abbiamo vissuto sempre o quasi come una vera famiglia. La band è nata da forti legami e non da persone che si sono incontrate esclusivamente per suonare, dunque i valori dell’amicizia e del dialogo sono stati alla base di questo percorso. Cambiare consapevolmente significa spesso migliorarsi. 

Marco Auriemma ha suonato nei SEH dal 1997 a fine 2001, realizzando con noi il demo, un promo, il primo album “Don’t Waste Time!” e registrando per intero “Will”. Lemma (che ci seguiva già live come roadie) ha preso il suo posto da quasi 4 anni, ma Marco è rimasto attivamente nella band, anche se non sul palco. Lui cura tutti gli aspetti grafici e comunicativi dei SEH: ha realizzato il booklet di “The Last Ones”, il nuovo sito, le foto… Si è laureato in Grafica e Design con una tesi di “immagine coordinata” sui SEH, ed è stata molto apprezzata alla facoltà di Venezia. Boston, il pazzo, s’è aggiunto due anni fa alla chitarra, e ha portato una forza in più ai SEH, soprattutto dal vivo. Anche lui aveva già suonato con noi in precedenza nel lontano 1998. Andrea di fatto è l’unico ad essere uscito dalla band per motivi tecnici legati alle sonorità di questo nuovo album e alle nostre esigenze live, che negli anni sono mutate.

 

 

-Per comporre questo disco so che vi siete ritirati a vita solitaria in un eremo rock. Parlaci della genesi e di come ha preso forma piano piano questo vostro nuovo album.

 

Lore: L’album è il frutto di 16 mesi di lavoro, ed è nato da una pre produzione registrata durante un nostro lungo “ritiro” in una casa in mezzo ad un bosco, lontano da tutto e tutti, ribattezzata “eremo rock”.

Negli anni abbiamo vissuto molte esperienze, positive e negative, che ci hanno portato ad essere consapevoli del fatto che avevamo una nuova opportunità iniziando a lavorare su questo nuovo, terzo, album. Quando ci stavamo accingendo a scrivere questo nuovo disco erano passati 3 anni dalla composizione del nostro ultimo lavoro in studio. In questo tempo abbiamo accolto vari cambiamenti delle nostre personalità, dei nostri pensieri e dei nostri modi di agire. Tutto ciò era giusto rispecchiarlo in musica, senza paure di giudizi esterni.  

Per questo abbiamo staccato la spina da tutte quelle chiacchiere, quelle immagini, quei suoni che ti portano ad essere sempre altamente influenzabile. Dovevamo scrivere un album per noi, e farlo fregandocene di tutto, e soprattutto di TUTTI.

Cambiare non è facile, conosci il tuo passato ed è una sicurezza. Ma la voglia di essere più “liberi” ha vinto. Ecco qual è la base di “THE LAST ONES”.

 

 

-Guardando i testi del vostro album si nota sicuramente una grande crescita. L’ultima volta che ti eri trovato davanti al fatidico pezzo di carta bianca avevi 19 anni. Ora ne hai 23, hai vissuto molte esperienze e provato emozioni che ti hanno provocato gioia ma anche tristezza ma che tuttavia ti sono ti servite per crescere e per essere l’uomo che sei ora. Quali differenze riscontri nell’approccio che avete avuto tra questo album e i precedenti?

 

Lore: L’osservazione ha ispirato molti testi, insieme alle mie esperienze personali e al ragionamento. Mi sono accorto d’essere cambiato assai dall’episodio precedente. Forse sono semplicemente cresciuto, diventando meno sereno ma più forte di un tempo. Ho lasciato da parte per molti mesi vari dischi e band, dai quali sentivo di dovermi staccare per essere me stesso in modo esplicito. Così la lettura di autori classici e contemporanei mi ha aiutato a capire quali fossero gli aspetti da tenere a mente nella vita personale e sociale.

Seneca è un po’ il “padre filosofico” di questo album.

Ho creduto fosse giusto spaziare e allo stesso tempo unire tutto ciò che sentivo.

C’è un percorso “concettuale” per quasi tutto l’arco dell’album.

“The Last Ones” è come un libro: capitolo dopo capitolo il disco segue la sua logica, attraverso la tracklist. Dalla polemica, alla proposta, al racconto di una esperienza personale, alla satira di alcuni momenti, alla disperazione, alla rabbia, alla preghiera, alla speranza, al valore della vita nella morte.

 

 

-L’artwork dell’album è molto curato e si vede che non avete lasciato alcun dettaglio al caso. La copertina ricorda però scenari di morte e distruzione che purtroppo sono all’ordine del giorno in questi tempi a causa di Tsunami e Uragani. Anche nel booklet le immagini ricordano quelle di città appena investite da calamità naturali. Come mai questa scelta?

 

Lore: La grafica e l’immagine sono una forma di comunicazione importante, anche se a nostro avviso nulla dovrebbe superare quella della musica e dei testi. Abbiamo reso evidente un filo conduttore su tutta la comunicazione legata a questo album.

Non vogliamo mostrare immagini di “distruzione”, perché non sarebbe in linea con la nostra volontà, ma abbiamo cercato di usare immagini di natura connesse a quello che significa “The Last Ones”.

Abbiamo deciso di far derivare l’immagine dalla musica, dalle emozioni che essa trasmetteva. L’album riconduce a certe sensazioni, che ritrovi nell’artwork, nelle foto, nella grafica e nei contenuti del sito. Lavoriamo su questo progetto da 16 mesi; uno dei punti fondamentali era riuscire ad esprimere meglio quello che facciamo, dando una visione d’insieme compatta, chiara.

Come dicevo prima, sul progetto di “The Last Ones” è stata fatta anche una tesi di laurea in “comunicazione coordinata” (di Marco Auriemma) molto apprezzata alla facoltà di Grafica e Design a Venezia, nella quale si mostra come da un punto di partenza (la musica e i testi) sia possibile ottenere il resto con una logica artistica. E’ stato un percorso difficile, perché non avevamo termini di paragone a cui fare riferimento, ma molto avvincente. 

 

-In ogni vostro album vi è una canzone acustica. In questo è presente “My Prayer” che forse è la canzone più profonda della vostra carriera. Per quale motivo inserite sempre una canzone acustica in ogni vostro album? E inoltre, pensi che un giorno verrà il momento pure per te Lore di incidere un acoustic album come hanno fatto Joey Cape, Tony Sly o Nikolas dei Millencolin?

 

Lore: A dire la verità questa è la prima vera canzone “acustica” dei Sun Eats Hours, perché è totalmente registrata con chitarre acustiche e un pianoforte. E’ un pezzo che ha una grande carica emotiva e questo era il modo per enfatizzarla al meglio. Vuole essere un pezzo che puoi suonare da solo, seduto su un prato o in mezzo ad un bosco, per te stesso.

Pensiamo spesso alla possibilità di comporre un album acustico, con pezzi degli album rivisti e altri scritti esclusivamente per questo tipo di disco. Stiamo a vedere…

 

 

-Ripercorriamo rapidamente la vostra carriera. Con “Don’t waste time” riusciste a diventare da fenomeno locale a band di fama nazionale con partecipazioni importanti come al Deconstruction 2001 a soli 18 anni. “Will” e “Tour all over” poi vi hanno spalancato le porte dei principali paesi europei. Ora con “The Last Ones” varcherete i confini del trattato di Shengen e sarete distribuiti pressochè in tutto il mondo. Come la vivete questa vostra rapida ascesa? Dovrai ammettere che non è facile mantenere i piedi per terra quando si ottengono cosi grandi soddisfazioni e riconoscimenti.

 

Lore: Ti voglio rispondere in modo semplice e diretto. Talvolta le persone, inconsapevolmente, vedono quello che abbiamo raggiunto in questi anni, ma non conoscono cosa c’è alle spalle di tutto ciò.

Diciamo che siamo “costretti” ad avere i piedi impiantati per terra e allo stesso tempo continuiamo a guardare il Cielo.

La verità è che ogni singolo passo, ogni piccola soddisfazione o riconoscimento, l’abbiamo ottenuto con un lavoro durissimo e con molti sacrifici personali, sempre al limite del possibile. Siamo una punk band nata in una provincia italiana (e fieri d’esserlo) che canta in inglese, dunque per avere un nostro spazio nell’ambiente punk mondiale dobbiamo sputare sangue 10 volte più dei nord americani o nord europei.  Ogni cosa positiva che le persone vedono attorno ai Sun Eats Hours è motivata da mille sforzi di chi è nella band e attorno alla band (come l’etichetta).

 

 

-Il 2004 è stato per voi sicuramente l’anno in cui vi siete tolti più soddisfazioni in assoluto e che probabilmente vi ha consacrato al grande pubblico. Iniziato con la partecipazione al Tour europeo degli Offspring concluso con il premio al Meeting delle Etichette Indipendenti come “Best Italian Punk Band in the world”.Come avete vissuto questo anno molto intenso e ricco di emozioni?

 

Lore:E’ stato fenomenale. Sono stati alcuni dei giorni più belli di sempre! Tutto ciò che abbiamo vissuto nel 2004 ci ha trasmesso la forza e la consapevolezza per arrivare qui oggi con questo nuovo album.

 

 

-Il vostro album si conclude con una canzone molto particolare “The day I die”che forse è la migliore canzone dei Seh. In questa canzone parli del giorno del tuo funerale. Non la trovi una cosa un po’ macabra?

 

Lore:Sentirti dire che “The Day I Die” è il miglior pezzo dei SEH mi fa estremamente piacere. E’ il mio preferito, e devo dirti che registrandolo mi sono commosso varie volte, per i significati che porta in sé.

Credo sia fondamentale che ognuno di noi si ricordi giorno dopo giorno che nulla è certo nella vita, tranne la morte. Nessuno di noi qui è garantito. Nessuno. La famiglia, l’amore, gli amici. Ci siamo ORA.

La vita è questa magia che scorre via in un presente incomprensibilmente difficile da cogliere. Sta ad ognuno di noi capire il motivo per cui dal primo giorno abbiamo solo quella certezza che ci attende. E’ la nostra regola, che determina l’uguaglianza di ogni uomo, ovunque, sempre.

 

 

-Come primo singolo dell’album avete scelto “Endless Desire”, una canzone con un ritmo molto accattivante che ricorda stupendi pezzi come “Hitchin in a ride” dei Green Day e “No one knows” dei Queens of the Stone Age. Avete anche girato un video in stile anni ’30. A chi è venuta l’idea di scegliere quest’ambientazione retrò? Poi un’altra cosa, potresti darmi per caso il numero di telefono di quella strafica che è nel video?

 

Lore:Eh eh… lo sapevo, tutti vogliono quel numero… ! L’idea del video è nata direttamente in studio. Con Maurizio (Baggio, il produttore artistico dell’album) abbiamo sviluppato la canzone immaginandola fin da subito con un taglio “anni 30”. Era nella natura del pezzo! Non è stato un caso quindi, l’intro, i passaggi, i cambi di tempo… tutto ha quel qualcosa che ricorda il passato e fa ballare alla grande!

 

 

-Una canzone che ha attirato la mia attenzione è “Letters to Lucilio”, titolo preso in prestito dalla raccolta di epistolae di  Seneca. In una strofa della canzone fai una aspra critica alla nostra società dicendo “Nowadays trends are based on hate On videos of people trying to look rich Showing Mercedes, tits and nice asses Damn! When millions are still crying” (Oggigiorno i trends sono basati sull’odio In video le persone cercano di sembrare ricche mostrando Mercedes, Tette e bei culi Cazzo! Questo mentre milioni di persone stanno morendo – ndr traduzione mia)

 

Lore:Come ti dicevo prima, ero in debito con Seneca, e questo pezzo gli era quindi “dovuto”!

È una rivisitazione ai nostri giorni di alcuni messaggi che Seneca lancia e ribadisce nelle sue opere (non solo nelle Lettere Morali a Lucilio).

Quella strofa è molto esplicita, ed è una denuncia verso la musica “spazzatura RNB” (e simili) dell’industria musicale nord americana, la quale sta distruggendo e affondando ogni possibilità di espressione intelligente nei media musicali.

Credo sia una situazione gravissima e trovo allucinante come nessuno ne parli. C’è una monopolizzazione musicale di pessima qualità. Questa viene da persone che non c’entrano nulla coi nostri valori, tradizioni, e che non portano nulla di buono alla gente che, volente o nolente, è costretta ad assorbire una imposizione mediatica degradante.

 

Molte volte in Italia le canzoni che portano al successo una band o che la fanno conoscere al grande pubblico poi non vengono più riproposte perché considerate un po’ imbarazzanti o fuori luogo. Vedi i Meganoidi con “Supereroi”, di cui non vi è più traccia nei loro live-set o “Questo si chiama Ska” dei disciolti Shandon. Dobbiamo aspettarci anche da voi la stessa cosa con “La mangiauomini” ?

 

Lore:A differenza delle band che citi, la nostra “Mangiauomini” è praticamente sempre presente nelle scalette degli show, è una canzone che ci piace suonare e sulla quale ci piace scherzare! E’ l’unico pezzo in italiano che abbiamo (per questo lo proponiamo anche all’estero).

 

 

-Adesso state per partire per il vostro tour che vi porterà nella prima parte in mezza Europa e nella seconda tranche in addirittura altri fusi orari. Che emozioni provate e come è la risposta della gente alle nuove canzoni per il momento?

 

Lore:Il tour è partito alla grande! ieri sera (alla Gabbia di Bassano) è stato un vero delirio, direi un ottimo inizio. Siamo partiti dall’Italia e già entro la fine del 2005 saremo in Svizzera, Spagna, Portogallo, Austria, Germania, Francia, Slovenia, Olanda… per 30 date di tour.

 

-Bene ragazzi, vi ringrazio per la lunga e piacevole chiacchierata. Sapete benissimo che Punkadeka.it vi supporta e che facciamo il tifo per voi perché il successo che state avendo ve lo meritate e in parte lo sentiamo anche un po’ nostro per aver sempre creduto in voi. Per concludere ti lascio gli ultimi secondi di nastro per salutare i vostri fans. Grazie e continuate cosi ragazzi!

 

Lore: Grazie di cuore a te e a Punkadeka! Concordo pienamente, Punkadeka negli anni ha dato voce ai SEH, seguendoci in una evoluzione che ci porta qui oggi.

  

Visitatewww.suneatshours.com  troverete canzoni, video, video live, foto, contatti, testi e molto altro. Ci vedremo in giro per l’Italia!!!!

 

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