PUNKADEKA FESTIVAL 25th Anniversary

#1 Rank-Your-Records: TALCO

I Talco aprono la nuova serie di interviste di Punkadeka “Rank-Your-Records” dove chiediamo alle bands di valutare le loro pubblicazioni in ordine di preferenza personale. Quale album mettereste al primo post voi? In occasione dell’uscita del nuovo disco “Lockdown” la band ha ripercorso la propria carriera condividendo emozioni, storie e ricordi di quasi 20 anni di carriera.

7 – Tutti Assolti (2004)

All’ultimo posto metto “Tutti Assolti”. Non tanto per le canzoni ma per la qualità tecnica. C’era uno spirito aggressivo e adolescenziale e naturalmente ascoltandolo ora posso dire che era acerbo. Il disco è quasi una sorta di “greatest hits” dei nostri primi anni in sala prove e si sente anche nelle canzoni. In quel momento ascoltavamo principalmente punk italiano come Banda Bassotti e Persiana Jones: questo credo si senta forte. All’epoca eravamo dei dilettanti allo sbaraglio e sicuramente non avevamo mai avuto a che fare con le “regole della scena”, avevo mandato il disco in giro a molte etichette ma le uniche risposte che ricevevamo erano del tipo: dateci i soldi e ve lo distribuiamo noi. Ho provato anche a contattare i centri sociali dell’epoca ma ci rispondevano con cose del tipo: “se pensi di essere Bruce Springsteen figlio mio hai sbagliato…”. Mica chiedevo di aprire l’Indipendent Days, volevo solo suonare col mio gruppo anche solo davanti a uno, due persone e sarei stato l’uomo più felice del mondo. Poi è arrivato Enrico della KOB Records, al quale saremo sempre eternamente grati, che ha creduto in noi e pubblicato il disco. Ricordati che in quell’epoca lo ska punk stava in fase calante, è stato un folle a credere a noi. Big up Enrico, grazie di tutto: se siamo ancora qui è anche merito tuo!

6 – La cretina commedia (2010)

Ci sono molti motivi per cui lo metto al sesto posto. Durante la pandemia ho avuto modo di riascoltarlo e ho avuto dei sentimenti contrastanti poiché, per quanto sia legato ad ogni disco dei Talco noto un difetto più di riflesso che di per sé. Questo disco segue “Mazel Tov”, tutte le canzoni sono omogenee e forse abbiamo perso un pò di immediatezza. Quando abbiamo iniziato a registrare avevo in mano “Perduto Maggio” e “Punta Raisi”. Non avevamo molto tempo per riflettere o tirare il fiato, per la prima volta avevamo una scadenza da rispettare, data anche dal bisogno di iniziare la collaborazione con Destiny Records. Avevo in mano 14 canzoni e 12 sono entrate nel disco, quando solitamente scelgo sempre una dozzina di pezzi tra una lista di 20. Eravamo sicuramente ambiziosi, questo fu il primo concept album che abbiamo scritto. Mi sono ispirato al cantautoriato, che per me non è una chitarra folk e parole auliche, ma un modo di intendere la musica forse in maniera più intima, raccontando una storia. Ci sono nel disco alcuni testi che col senno di poi posso dire che erano un pò “pomposi”, per così dire “barocchi”. Questo viene anche come risposta ad alcune critiche dell’epoca che dicevano che scrivevamo “troppo complicato” come fossi Dante con la Divina Commedia. Forse chi lo dice non ha mai letto la “Divina commedia”, credo. Con le dovute proporzioni mi viene da considerare “La Cretina Commedia” allo stesso modo in cui De Andrè considerava“Tutti Morimmo a Stento”, un disco che a me piace moltissimo che però lui criticò sempre proprio per l’atmosfera che considerava troppo barocca. Poi certo, la copertina con la cover di “And Out Comes The Wolves” è stata provocatoria: volevo rispondere con la musica e le immagini alle tante voci critiche della scena italiana che mi coinvolgevano sul personale senza tuttavia conoscermi; denotavano una malizia di fondo che mi feriva, in quanto i Talco han sempre fatto la loro strada senza entrare in questi discorsi da bar di chi ce l’ha più lungo.

5 – Silent town (2015)

Silent Town è il concept album al quale sono più legato in assoluto perché chiude la trilogia dei concept. Ho continuato a parlare dell’Italia sulla scia dei due precedenti album ma non volevo risultare ripetitivo o superficiale. Da un punto di vista della scrittura penso di aver fatto uno step includendo l’immaginario tipico del realismo magico e del surreralismo. Il mio regista preferito è Terry Gilliam e penso si possa notare in alcune parti di questo disco. È capitato di essere criticati di non essere più “abbastanza di sinistra” e questo lo trovo paradossale. Trovo questo il disco più impegnato di tutti: è la metafora della storia partigiana. La storia metaforica e criptica ha fatto forse pensare a qualcuno che avessimo perso i nostri valori. Se io come “cantautore” avessi l’ambizione di arrivare a tutti, molto probabilmente non farei questa musica né scriverei dei testi in questa maniera. Non c’è nulla di pensato, scrivo in questo modo, quasi terapeutico per me, che mi aiuta a tirare fuori me stesso e anche curare alcune ferite. Molte band si affidano all’inglese per arrivare a più persone, io scrivo in italiano perché penso che la nostra lingua abbia una musicalità innata che è sottovalutata. Per me le parole sono musica e disegni della mente, e, al di là del livello che si possa avere, altro o basso che sia, si comunica anche con la musicalità delle parole e il potere dell’immaginazione.

4 – And the winner isn’t (2017)

Questo è il nostro disco più punk rock. Per la prima volta ci siamo occupati dell’intera vita del disco e della band grazie all’esperienza maturata negli anni con un completo DIY. Abbiamo investito tutto quello che avevamo prendendoci un bel rischio ma volevamo essere padroni del nostro destino in toto senza dover ascoltare nessuno da fuori. Lo trovo un disco molto diretto e potente, musicalmente secondo me si avvicina più al punk californiano che al punk italiano o europeo, forte anche del fatto che è stato mixato al Blasting Room studio dalle sapienti mani di Jason Livermore e Bill Stevenson, autorità nel settore. In questo disco ho voluto parlare della superficialità tecnologica, dove la politica ormai si è spostata sui social e con disastri culturali causati dall’individualismo squallido delle persone. Nei testi ho voluto parlare di questo bisogno di protagonismo e vocazione alla superficialità di molta gente.

3 – Combat circus (2006)

La medaglia di bronzo va a “Combat Circus”. Il podio mi rimane chiaro almeno fino al 2022 quando uscirà il nostro nuovo disco. Per “Combat Circus” abbiamo anche voluto fare il tour celebrativo dei dieci anni per rispolverare quell’attitudine più diretta che avevamo in quel disco.  Secondo me ha due padri fondamentali che sono associati a due momenti chiave per noi come band. Il primo è stato vedere Manu Chao con la Radio Bemba all’Independent Days Festival del 2001. Ragazzi, che show! Qui per la prima volta mi sono detto: questa è la musica che voglio fare: la patchanka anche se in chiave più punk-rock. È stata una vera folgorazione. Il secondo momento è stato il Punk Italia del 2005 a Berlino dove abbiamo sentito sulla nostra pelle l’invidia della scena. Ricordiamoci che all’epoca avevamo all’attivo solo un disco ed eravamo dei signori nessuno di 20 ani. Vedere gente che per noi era ancora ‘sacra’ sprecare il proprio tempo a criticarci in maniera gratuita non me lo sono mai spiegato. Adesso non me ne frega niente ma all’epoca mi aveva ferito profondamente. Questo fu il momento in cui forse ho capito che nella scena punk italiana c’è tanta invidia e che lo spirito di unità è spesso solo di facciata, ma soprattutto che non avevo nulla da perdere nel cercare uno stile più personale, staccandoci dalla scena. In fin dei conti, il giudice è il pubblico, e finché andrà in questi anni non possiamo che essere fieri del nostro cammino.

2 – Gran galà (2010)

Ti regalo una chicca: il singolo che avevo scelto io era “San Maritan” mentre ci fu consigliato di uscire con “La Danza Dell’Autunno Rosa”. Tanto per farti capire quanto poco ci capisco di queste cose ahaha. Avevano ragione ma lo ho capito solo dopo quando l’ho vista dal vivo. Il motivo è anche semplice, “Danza dell’autunno rosa” parte direttamente col ritornello e quindi nonostante sia più lunga del normale, ha avuto una presa maggiore presa sul pubblico proprio grazie alla sua struttura. Le nostre canzoni qui si sono evolute, nonostante i pezzi non siano più immediati come un tempo. Dopo tanti anni che scrivo mi considero ancora un asino per quanto riguarda i pezzi, sia chiaro, ma questo penso sia il vero disco più emblematico della punkchaka dei Talco: ha il folk, il punk rock, la parte più cantautoriale. Poi ci sono i due partiti del giudizio a cui vai sempre incontro: chi ti dice di cambiare e chi ti dice il contrario. A me non interessa fare altro, a me piace questo. Le mie band preferite sono i Bad Religion e gli Iron Maiden, gente che fa da decenni la stessa musica. Mi piace spaziare all’interno di questo genere. Sarà un nostro limite? Forse, ma questo è quello che vogliamo fare e finché il pubblico ci segue, i Talco continueranno a far questo. Questo forse è stato il primo momento dove ci siamo detti: ecco abbiamo fatto qualcosa di importante. Un pò come giocare a Risiko, oltre a Germania e Spagna, abbiamo iniziato a mettere bandierine in altri paesi come anche la Russia o al Fuji Rock in Giappone. So che il pezzo preferito del pubblico è “Danza Dell’Autunno Rosa” ma la mia preferita è “Ancora”.

1 – Mazel Tov

Questo disco avrebbe potuto non vedere mai la luce. Ci eravamo quasi sciolti, la band era giunta ad un momento critico. Lo scrivere questo disco è stato “terapeutico” per me, mi ha aiutato ad esternare la passione intima per la musica. L’alchimia si era spezzata, la tensione tra noi era cresciuta, da parte mia c’era un nervosismo continuo dato da vedere un impegno costante nel progetto vanificato da aut aut ridicoli a la “o la va o la spacca, ultima possibilità”, e sto parlando del 2007, un periodo dove le cose stavano andando bene, ma non certo come ora. Secondo me alcuni membri della band o stavano facendo il passo più lungo della gamba, o semplicemente avevano una mentalità che non si sposava con il progetto. Non c’è nulla di strano ad ammettere che sono ansioso, per me è una virtù, non un disagio, sono molto critico con me stesso, forse anche troppo, ma questo mi permette anche di rimanere coi piedi ancorati al terreno. Il mio obiettivo con la musica è rendere felice me stesso e trasmettere questa felicità agli altri, creare empatia con le persone con le quali condivido questo sogno. Avevamo canzoni che erano secondo me di un livello più alto rispetto ai vecchi album: “Tarantella Dell’Ultimo Bandito”, “St.Pauli”, “La Torre”. Quando entrammo in studio Rizia e Ketto erano appena entrati nella band, portando nuova attitudine e molta serenità. La canzone del Potro Rodrigo “La Mano De Dios” l’avevo conosciuta grazie al documentario di Kusturica su Maradona, fu la prima volta che mi è venuta voglia di fare una cover. Questo disco nasce dal disagio che vivevo nella band. Fortunatamente questo travaglio interno, molto spontaneo, ha fatto sì che portassi fuori il meglio da quella situazione.

Talco Maskerade – Locktown – 2021

Questo disco lo abbiamo fatto principalmente per noi, approfittando di questa pausa forzata causa Covid. Ti confesso che è una velleità artistica che ho sempre avuto ma che ho anche sempre temuto. Come abbiamo già detto per me il cantautoriato non è quello strimpellare una chitarra dandosi una posa, per me è un qualcosa che va oltre e affonda le radici nella musica di artisti sacri come Gaber, De Andre, Guccini. L’idea di voler fare qualcosa in un ambiente musicale rappresentato da da questi mostri sacri della musica italiana, è stato tosto e mi creava molte inibizioni, ma per come vedo la musica, ho pensato che fosse anche arrivato il tempo di osare senza pretese. Tranquillo, non ci sono rischi per i Talco che rimangono ciò che amo. Questo è un side project e come tale rimarrà. Anzi ti dirò, questo side project mi dà ancora più carica per suonare punk rock con i Talco. Come dicevo prima, la musica per me è una terapia e in questo disco potete trovare le mie emozioni più intime messe in parole e musica.

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