RED CITY RADIO : Paradise

Il 4 Dicembre scorso i Red City Radio hanno pubblicato “Paradise” per Pure Noise Records.

Il quarto lavoro, che si avvale della collaborazione di Mike Kennerty degli All American Rejects, arriva a distanza di 5 anni dall’album omonimo, con l’intervallo del solo Ep “Skytigers” del 2018. Un periodo non certo breve, ma durante il quale i Red City Radio hanno potuto raggiungere definitivamente il proprio “Paradise”. Il titolo dell’album per l’appunto, che sembra si stonare un po’ con l’anno appena passato, ma che in realtà rappresenta un percorso molto più lungo e interiore che la band ha attraversato.

“Abbiamo preso il titolo dell’album dalla canzone con lo stesso nome”, ha spiegato il cantante/chitarrista Garrett Dale durante alcune interviste. Una canzone che parla di come trovare il proprio paradiso. Un paradiso della mente, che trova la verità, la pace e l’amore attraverso le sue realtà oneste e orribili. È tutto come lo guardi: il paradiso può persino essere una prigione se lo guardi in quel modo”. “È quello stato interiore che trovi dentro di te”, concorda il chitarrista Ryan Donovan, “nel tuo viaggio, nelle tue riconciliazioni con i tuoi demoni, o anche solo nel trovare pace dentro di te in qualunque cosa ami: una persona può trovare il paradiso semplicemente seduto a casa sul divano con il proprio cane o gatto, oppure scrivendo musica, dipingendo o leggendo”.

Attraverso le 12 canzoni che compongono “Paradise” la band ci conduce per mano sulla via della spensieratezza e della tranquillità. Ogni singola canzone può servire ad analizzare sé stessi e il mondo che ci circonda, aiutandoci a superare anche le cose più brutte. Sarà stato l’ingresso nel 2019 del nuovo bassista Derik Envy, descritto dai suoi compagni come una persona positiva e piena di amore, a portare una generale positività all’interno della band anche quando si discutono gli argomenti più oscuri della vita. I toni ruvidi degli album precedenti sono un po’ meno ruvidi e appaiono un po’ più allegri e più liberi. La band attorno al front man Garrett Dale è diventata un po’ più vecchia, più calma e forse un po’ più rilassata.

Lasciando da parte la copertina dell’album che non sarà certo ricordata tra le più belle di questo 2020, ma che meriterebbe di essere analizzata per le molteplici letture che potrebbe trovare, passiamo direttamente all’ascolto.

L’album si apre in modo alquanto atipico per il punk rock con il dolce lamento di “Where does the time go?”. Un inno malinconico, quasi sicuramene dedicato al 2020, in cui la voce fumosa del cantante Garrett Dale e il suono gentile delle chitarre non dispiacerà di certo ai fans, ma che non deve trarre in inganno. E’ infatti con il secondo pezzo “Baby of the year” che si accendono i riflettori sul nuovo lavoro dei Red City Radio. Le melodie allegre e vivaci, abbinate alle classiche progressioni di accordi e alla più caratteristica voce ruvida di Dale ci regalano uno di quei pezzi che ti incoraggiano a rialzarti. Continuiamo con “Did you know?” un’altra di quelle canzoni motivanti, orecchiabile e con un quel tocco più rock. Un messaggio semplice che ben disegna i contorni di questo album: “Did you know how wonderful this life can be? When you don’t give a shit about everything or anyone” (Sai quanto può essere bella la vita quando finisci di dire “fanc..lo” per ogni singola cosa o persona). La quarta traccia “Love a liar” è uno dei miei pezzi preferiti all’interno dell’album (seppur la parte parlata iniziale l’avrei evitata). Le pennellate decise e sempre più incalzanti, spezzate di colpo da quel vuoto di tre secondi a metà canzone che ti lascia in sospeso tagliandoti il fiato come a metà di una montagna russa, prima di riprendere con una decisa e veloce accelerazione ti spingono a continuare a credere in un amore vero seppur imperfetto. La spensierata “Young, beautiful & broke” dalle sfumature rock a stelle strisce e con quell’inno alla James Dean che ritroviamo nella frase “Before I get too old, I want to die young, beautiful & broke” parla dell’amore per il pericolo e dello spirito giovane, selvaggio e un po’ incosciente che tutti abbiamo dentro di noi: chi più chi meno, chi addirittura distruttivo. L’emozionante “100.000 Candles” che sorprende per la fantastica sovrapposizione di voci, ci mostra come l’immagine delle fiamme che distruggono una foresta possa essere sostituita da quella più speranzosa delle fiamme di mille candele. Le fiamme rappresentano le nostre ansie che possono distruggerci oppure spingerci a tirare fuori il meglio di noi stessi (“my anxiety has finally gotten the best of me”). Il pezzo portante dell’intero album “Paradise” si poggia sul solido suono del basso di Derik Envy per poi esaltarsi sugli esuberanti assoli di chitarra senza mai perdere smalto per tutta la sua durata di quasi 6 minuti. Come già detto in precedenza è la canzone che dà il nome all’album e rivela il modo per poter trovare il proprio paradiso. “Edmond Girls” nel suo perfetto rock melodico scava nel ricordo romantico di alcune ragazze conosciute in quel bar all’angolo di Edmond, proprio fuori Oklahoma City (dove è stato registrato l’album). La frizzante “Doin’it for love” che già dice tutto nel titolo spicca per i suoi arpeggi, le doppie chitarre alla Thin Lizzy e gli accentuati inserimenti di pianoforte alla Jerry Lee Lewis. Mantiene la stessa linea, ma un pelino più rallentata e abbassata nei toni la successiva “Apocalypse, please” che ci motiva a non perdere un altro giorno, a non perdere tempo prezioso. Arriviamo dunque al country acustico di “Fremont Casino” che sembra portare a chiusura questo album mostrando ancora una volta le abilità della band. È di gran lunga la canzone più calma tra le dodici, una vera chicca libera e spensierata, in grado di farti accomodare mentalmente intorno al fuoco con chitarra acustica, amici e qualche buona birra.  Godetevala! L’ultima e inattesa perla “Gutterland” arriva quando ormai sembra che sia tutto finito e in poco meno di due minuti con la sua solarità, la velocità dettata dalla batteria e uno spirito più punk rock, sintetizza nel suo ritornello un intero album: “if the sun don’t shine, ain’t no bother I don’t mind” (Se il sole non splende non è un problema, non mi dispiace).

Insomma quello della band dell’Oklahoma è un album che pur evolvendosi verso sonorità più morbide e positive conserva intatta la propria carica emotiva, la struttura delle canzoni e l’inconfondibile marchio RCR. E’ pur vero che i primi giorni punk rock siano definitivamente alle spalle, e che da Titles (2013) in poi la quota punk sia stata costantemente ridotta e sostituita da un rock più classico, ma la voce ruvida e avvolgente del cantante Garrett Dale resta sempre il punto di forza su cui la band fa affidamento. L’album, probabilmente il più positivo della band con le sue 12 canzoni più adatte a un’arena che a un piccolo club ampliano notevolmente gli orizzonti della band.

  1. Where does the time go?
  2. Baby of the year
  3. Did you know
  4. Love a liar
  5. Young, Beautiful & Broke
  6. 100.000 Candles
  7. Paradise
  8. Edmond girls
  9. Doin’ it for love
  10. Apocalypse, please!
  11. Fremont Casino
  12. Gutterland
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