The Interrupters – In the wild

Buongiorno, oggi parleremo di quanto la figura del produttore artistico di un disco sia allo stesso tempo super importante e poco cagata dal grande pubblico.
Questo perchè, quando si ascolta un disco, è difficile capire dove sta l’influenza di un produttore esterno che interviene sui pezzi della band stessa…specialmente in ambito punk, in cui non ci sono molti produttori di grosso nome (come può essere nel metal e nell’hard rock). Il mio preferito si chiama Rob Cavallo, che ha prodotto, tra gli altri, “American Idiot”, “The Black Parade” e “Hang Cool Teddy Bear” (di Meat Loaf). Un altro che mi piace molto si chiama Tim Armstrong e ha lasciato una forte impronta nei primi tre dischi degli Interrupters…questo è il primo disco su cui non ha lavorato. “In the Wild” è stato scritto e registrato dalla band durante il lockdown, è stato impossibile mantenere lo stesso produttore dei primi dischi.
E si sente.
Come?
Facile, prendete le canzoni della band, togliete l’impatto punk (che era garantito dalla produzione di Tim) ed ecco il nuovo sound della band: pezzi principalmente mid tempo, o ska, quando entra la distorsione entra in maniera discreta, senza far rumore…i pezzi veloci non hanno l’urgenza del punk, sono solo degli uptempo con qualche idea figa qua e là.
Quindi è un brutto disco? No, non posso dire sia brutto. La famiglia Bivona sa come si scrivono le canzoni, sicuramente non siamo al livello dei dischi precedenti, ma tra una ballata anni ’50 (“My heart” molto bella), un pezzo praticamente rock (“Raised by the wolves”), e lo ska classico di “Burdens” e “Love never dies” il livello resta decente.
A livello dei testi c’è da dire che la passione con cui canta Aimee fa dimenticare che formalmente non sono esattamente alta poesia, ma sono piuttosto didascalici (per quanto l’importanza di ciò che dicono è palese)…ci sono poeti che con 4 strofe ti hanno spiegato tutta la loro vita (“One summer night I was drinkin’ with my dad/He tried to give me love that I never had/ But he gave more love to his bottle of wine/ So I had to go out and find love of another kind”) e persone che si limitano a “Qualsiasi cosa era meglio del posto da cui venivo”, va bene eh…però il livello a cui siamo abituati è un altro.
Chuck dei Mad Caddies durante il concerto al Punk Rock Holiday ha detto che gli Interrupters portano lo ska-punk alle nuove generazioni. Speriamo serva almeno a quello, perchè noi delle vecchie generazioni non siamo molto colpiti.

12 comments
  1. Qualcuno mi vuole spiegare che razza di recensione è questa?
    Non si capisce un emerito tubo.
    Smettetela di copiare, incollare e tradurre alla carlona i testi di siti stranieri, per lo più di infima qualità e prestigio.
    Poi che il disco in esame non c’entra nulla con il punk non c’era bisogno di voi(loro) per capirlo. A me piace…e questo è l’importante!!!

  2. Leggevo che sono ai primi posti nelle classifiche rock di billboard, vuol dire che hanno centrato il bersaglio, una buona notizia per loro, per il movimento ska punk, e per la hellcat records.

  3. Sono perfettamente d’accordo con te. Questo disco non mi ha emozionato come gli altri. Dal vivo, bravi, belli puliti ma poco stimolanti a differenza di band tipo Baboon Show

  4. Ben fatto e ben registrato, con cura dei loro punti forti. Alcuni pezzi sottotono ma altri riescono a farti venir voglia di risentirli piu volte

  5. A me personalmente al primo ascolto non convinceva (singoli esclusi). Preso il disco al Bay Fest, ascoltato parecchie volte e devo dire che, seppur qualitativamente minore rispetto ai 3 precedenti, lo trovo valido e “vendibile” ad una platea di ascoltatori che esulano dai Choking Victim o dai Time Again. Dal vivo stanno diventando una sicurezza. Finalmente abbiamo nuovi headliners ??

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